Quasi 100 europarlamentari firmano per il nucleare sostenibile

87 membri dell’Europarlamento hanno sottoscritto una lettera indirizzata a Frans Timmermans, Vice-presidente esecutivo per il Green Deal Europeo, Valdis Dombrovskis, Vice-presidente esecutivo per l’Economia a misura d’uomo e ai commissari competenti in materia invocando un pronto inserimento dell’energia nucleare nella Tassonomia europea. Tra i firmatari, di varie nazionalità e partiti politici, figura anche l’italiano Pietro Fiocchi (ECR). Nella lettera si sottolinea come la sfida della decarbonizzazione non possa prescindere dall’uso di tutte le tecnologie adatte a ridurre le emissioni, e dunque i Paesi che hanno intrapreso o vogliono intraprendere la strada del nucleare non dovrebbero essere ostacolati, ma sostenuti in questo proposito. Si nota come il Joint Research Center (JRC), massimo organismo di consulenza scientifica della Commissione Europea, abbia concluso che la fissione nucleare aderisce al principio del “do not significant harm” al pari o meglio di altre tecnologie sostenibili, e come questo giudizio sia stato largamente confermato dalla revisione del rapporto affidata ad altri due organismi indipendenti (Article 31 e SCHEER). Questi pareri si aggiungono a quello dell’IPCC delle Nazioni Unite, che da tempo vede nell’energia nucleare uno strumento imprescindibile per la mitigazione del cambiamento climatico. I firmatari auspicano dunque che la Commissione Europea ignori le sirene anti-nucleari (Germania e Austria in testa) e assuma le proprie decisioni su base scientifica, evitando di penalizzare la fonte nucleare, che già oggi costituisce il 40% circa dell’energia a basse emissioni prodotta nell’Unione. Leggi la lettera integrale

Tassonomia EU: il parere dello SCHEER sul nucleare non è conclusivo

Lo Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks  (SCHEER) ha completato la revisione del rapporto JRC sulla sostenibilità dell’energia nucleare, in merito alla soddisfazione da parte di quest’ultima del principio del “do not significant harm” (DNSH). Rimarranno però delusi quanti si aspettavano una parola definitiva a favore o contro la sostenibilità dell’atomo, che dal documento non si evince. In primo luogo lo SCHEER, per completare la revisione nei tempi indicati dalla Commissione EU (ovvero entro il 30 giugno), non ha potuto far ricorso ad esperti esterni ed ad una ricerca bibliografica più ampia. Ha dunque dovuto limitarsi all’esame di quanto pubblicato dal JRC, limitandosi a verificare la congruenza e l’adeguatezza degli studi citati e delle conclusioni tratte. Per altro, solo su una parte dello studio, esulando la gran parte di esso dalle competenze specifiche dei membri dello SCHEER (tra i quali figurano prevalentemente biologi, medici e fisici di area medica o statistica). Nel complesso i revisori concordano con le conclusioni generali del rapporto, sebbene indichino alcuni temi che meriterebbero approfondimento. E’ quindi nei dettagli che si evince la diversità dell’approccio nel giudizio sulla fonte nucleare, che riflette verosimilmente anche i diversi mandati istituzionali dei due soggetti. Una delle principali critiche sollevate dallo SCHEER al rapporto JRC riguarda infatti la modalità di investigazione del principio DNSH. Laddove infatti il JRC conclude che non vi è evidenza che il nucleare sia più dannoso rispetto ad altre tecnologie incluse nella Tassonomia, lo SCHEER stigmatizza il fatto che tale affermazione non significa che il nucleare non rechi alcun danno, ovvero che soddisfi il principio DNSH, nel senso in cui questo termine deve essere interpretato secondo il principio di precauzione. Data la natura dello SCHEER, era lecito aspettarsi un maggiore irrigidimento dei suoi componenti sul lato del rischio, vero o presunto. Tuttavia, bisogna riconoscere che il JRC è stato chiamato a fornire un parere sull’energia nucleare nel contesto della Tassonomia, dunque a dare indicazioni chiare sulla maggiore o minore aderenza ai principi della stessa, anche in confronto ad altre tecnologie già incluse nello schema. Se dai dati evidentemente si evince che, rispetto ad un determinato requisito, il nucleare è meno dannoso di un altra fonte considerata sostenibile, non può essere messo in discussione solo il nucleare ma anche l’altra fonte. Per il JRC, ed in definitiva per il decisore politico, ha dunque più senso una risposta comparativa al principio DNSH piuttosto che una assoluta. In secondo luogo vi è il fatto che le evidenze caldeggiate dallo SCHEER e che servirebbero a quantificare in senso deterministico la pericolosità del nucleare (o di qualsiasi altra fonte) non esistono o non possono essere prodotte, in quanto richiederebbero un livello di dettaglio dello studio che spesso supera la significatività dei dati ottenibili. Se infatti ci sono evidenze sugli effetti sulla salute comparati tra diverse fonti (ad es. mortalità o morbosità per unità di energia prodotta), è invece molto difficile effettuare studi accurati che indaghino, per esempio, il numero di tumori di una popolazione che vive vicino ad un impianto nucleare rispetto alla popolazione generale, vuoi perché il campione può essere troppo piccolo, vuoi perché le incertezze sul dato sono troppo grandi, essendo anche difficile ricondurre una patologia ad una singola causa. Similmente, se è facile misurare l’aumento di temperatura delle acque fluviali a valle di un impianto nucleare, è ben più difficile attribuire conseguenze che siano significative dal punto di vista statistico. L’approccio suggerito dallo SCHEER, seppur corretto in linea di principio, potrebbe essere impraticabile, se non addirittura inutile e controproducente. In ogni caso, esse andrebbe applicato a tutte le tecnologie che si vogliono includere nel paniere della sostenibilità, secondo il principio di neutralità tecnologica più volte affermato dalla Commissione EU. Se lo SCHEER concorda che in larga parte i rischi non radiologici legati al nucleare sono confrontabili o inferiori ad altre tecnologie sostenibili, esprime maggiori riserve sui rischi radiologici, sui quali però non si pronuncia nel dettaglio. Una delle obiezioni mosse alla sostenibilità di tali rischi è che il solo contesto normativo non sia di per sé sufficiente alla loro mitigazione, come affermato dal rapporto JRC. Per lo SCHEER si renderebbe necessaria un’attività di verifica e monitoraggio dell’effettiva implementazione delle normative, e la cosa sarebbe ancor più ostica sulle scale temporali di operatività dei depositi geologici dei rifiuti radioattivi. In aggiunta, lo SCHEER stigmatizza il fatto che non vi è alcuna esperienza operativa di simili depositi per tempi così lunghi, dunque tutte le conclusioni del JRC sono basate esclusivamente su teoria e modelli. Verrebbe da dire, che è così per gran parte delle nuove tecnologie legate alle energie rinnovabili (pannelli solari, pale eoliche, batterie, etc.). Non vi è esperienza sullo smaltimento e riciclo su ampia scala dei materiali che li compongono, né sulla sostenibilità economica e sociale della filiera mineraria che li fornisce (come i recenti aumenti dei costi hanno dimostrato), né ancora sugli effetti che una loro elevata penetrazione nelle reti elettriche può avere sulla stabilità e la competitività economica delle stesse. Per non parlare degli effetti ambientali, che data la recente diffusione di queste tecnologie non sono ancora apprezzati compiutamente. Eppure, questa incertezza epistemologica non ha impedito di valutarne positivamente la sostenibilità. Ecco quindi che infine la scelta sulla sostenibilità di questa o quella fonte sarà sostanzialmente politica, auspichiamo basata sui dati scientifici esistenti, e su di una analisi degli stessi scevra da ideologismi.

Webinars UNIPI

Per la serie Past-students and Expert Webinars in Nuclear Engineering promossi dal Corso di laurea in Ingegneria Nucleare dell’Università di Pisa, segnaliamo i prossimi appuntamenti: Venerdì 25 giugno ore 15: ENS contribution to the successful future of nuclear energy, prof. Emilio Minguez & Emilia Janisz, European Nuclear Society. Venerdì 2 luglio ore 15: Global perspectives on the present and the future of nuclear energy, prof. Sama Bilbao y Leon, World Nuclear Association.

Ecco cosa è successo alla centrale nucleare cinese di Taishan

Negli scorsi giorni è rimbalzata su molti organi di stampa italiani ed esteri la notizia di un presunto incidente in corso alla centrale nucleare cinese di Taishan. La notizia sarebbe stata originata da una comunicazione di Framatome al Dipartimento di Stato americano riguardo ad una anomalia operativa al reattore 1 dell’impianto cinese, che consta di due unità EPR di tecnologia francese, dunque in comproprietà con la francese EDF. Il coinvolgimento della compagnia francese e verosimilmente l’ignoranza dei contenuti esatti della comunicazione inviata al Dipartimento di Stato (vogliamo escludere la malafede) hanno spinto la CNN, e a ruota molti media, a parlare di fuga radioattiva citando addirittura un virgolettato attribuito alla compagnia EDF in cui si parla di “minaccia radiologica imminente” e di cui non vi è ovviamente traccia nei comunicati ufficiali della compagnia. Con il passare delle ore il sopraggiungere di nuovi dettagli hanno sgonfiato la notizia di quello che, fin dall’inizio, era parso a molti esperti un evento di carattere tecnico con potenziali conseguenze sull’efficienza del reattore ma senza alcun rischio di incidente. Si è trattato infatti del cedimento del rivestimento in ceramica di alcuni elementi che compongono le barre di combustibile nucleare che alimentano la reazione nel reattore. Tale cedimento ha causato l’emissione nel sistema di raffreddamento del circuito primario di alcuni gas nobili causando un aumento della radioattività misurata nel circuito, comunque entro i limiti operativi, per cui non vi è stata interruzione della produzione di energia. Un evento simile non è per nulla nuovo, anzi abbastanza comune per gli operatori di centrali nucleari. Nel passato negli Stati Uniti si verificavano dozzine di casi simili nel corso della vita operativa di un reattore, prima che i produttori di combustibile riuscissero a ridurne l’occorrenza con standard di qualità sempre più elevati. La ceramica che ricopre gli elementi di combustibile infatti, seppure apprezzabile per la resistenza al calore, è pur sempre ceramica e può fratturarsi come quella che compone la vostra tazza preferita (anche se meno spesso). Tale rivestimento ceramico non è però che la prima barriera volta a contenere il materiale di fissione, la seconda è composta dal contenitore metallico che racchiude tutti gli elementi di combustibile (pellets) nella cosiddetta barra di combustile (fuel rod). La quantità di barre di combustibile di ciascun reattore varia a seconda della tipologia, ma può arrivare a 60 mila unità. Ecco perché l’occorrenza del cedimento del rivestimento di alcuni elementi in alcune barre non desta particolari preoccupazioni e non richiede, in linea di principio, il fermo del reattore. Sebbene tale vento possa portare al rilascio di elementi radioattivi nel circuito primario, bisogna ricordare che tale circuito è isolato dall’esterno (e in gran parte dei reattori anche dal circuito secondario, ovvero quello nel quale è generato il vapore che aziona le turbine), dunque non sussiste alcuna possibilità di dispersione di elementi radioattivi nell’ambiente. Come se non bastasse, il circuito primario è contenuto nel vessel, l’edificio di contenimento del reattore, e spesso in un ulteriore edificio in cemento armato, secondo uno schema di difese a barriera multipla e sistemi di sicurezza ridondanti che vanno sotto il nome di difesa in profondità (defense-in depth). Di conseguenza, la concentrazione di gas nobili nel circuito primario continuerà ad essere monitorata. Se dovesse aumentare, indicazione del danneggiamento di ulteriori elementi, il reattore potrebbe essere fermato prima del raggiungimento di una soglia prestabilita, gli elementi danneggiati verrebbero ispezionati e rimossi, e il reattore tornerebbe operativo. Qualora invece la concentrazione non dovesse aumentare e l’evento rimanesse isolato, il rettore potrebbe continuare a produrre energia fino a prossimo rifornimento di combustibile programmato, in base a considerazioni che attengono all’efficienza produttiva.

Call for Papers: NESTet 2021

Si chiude il 16 luglio 2021 la Call for Papers per l’edizione NESTet 2021 che si svolgerà a Bruxelles (e online) dal 15 al 17 novembre prossimi. Gli argomenti che possono essere oggetto di presentazione sono i seguenti: Current best practices in education and training. Future needs from end users in terms of workforce. Capacity building including skills and competences. Success stories in attracting, developing, and retaining talent. New! Attracting and retaining – changes expected post COVID Innovative pedagogical approaches, technologies, and methodologies. Developing leaders in culture for safety and project managers. Networking and creating international relations. Per maggiori informazioni visitare la pagina ufficiale.