Cogenerazione nucleare: report NEA

La Nuclear Energy Agency (NEA) ha pubblicato un report sulle sfide e le opportunità della cogenerazione da nucleare. Infatti l’energia nucleare è un’importante fonte di elettricità, ma può dare il suo contributo anche per altre attività: teleriscaldamento, desalinizzazione o altre forme di calore per applicazioni industriali sono già in atto in circa 67 reattori nel mondo. I reattori attuali possono fornire energia termica sotto i 300°C, ma i reattori avanzati possono avere temperature in uscita molto più alte. Vi consigliamo dunque questo studio qui linkato che prende in considerazione gli aspetti economici e tecnici di un possibile sviluppo della cogenerazione, legato anche alla capacità di competere con le soluzioni tecniche che andrebbero a sostituire (una su tutte: gas)

EDF e la nazionalizzazione

Con l’intenzione di assicurare sicurezza energetica per il Paese, il governo francese ha annunciato l’intenzione di nazionalizzare completamente EDF – al momento già all’84% statale. L’OPA da 9.7 miliardi di euro vuole mettere al sicuro la Francia, cercando di tenere a bada i prezzi dell’energia schizzati a causa della situazione geopolitica. Lo scorso febbraio infatti Macron aveva già annunciato un rilancio del programma nucleare con la costruzione di sei nuovi reattori, e la possibilità si ulteriori 8, costruiti ed operati da EDF, con decine di miliardi di euro di fondi pubblici da mobilitare per finanziare i progetti e mettere al sicuro le finanze aziendali.       pic EDF

L’Occidente ha dimenticato come costruire impianti nucleari?

Questa la visione di Matthew Dalton del Wall Street Journal nell’ultimo pezzo sull’energia nucleare.   La costruzione di nuovi reattori venne molto rallentata dagli incidenti del 1979 di Three Mile Island (Pennsylvania), da Chernobyl del 1986 e da una generica avversione allo smaltimento dei rifiuti radioattivi da impianti. La situazione peggiorò ancora nel 2011 con Fukushima: esempi sono la Germania con la decisione del phase-out o l’inasprimento della regolamentazione da parte degli USA. Oggi vediamo finalmente una rinascita del nucleare, la consapevolezza della sua importanza nel fornire energia pulita, sicura ed affidabile. Alcune nazioni come UK, Polonia, Repubblica Ceca e Olanda hanno intenzione di costruire nuove centrali. Ma siamo pronti a far ripartire la nostra capacità costruttiva? Le nazioni che sono state pioniere dell’era atomica soffrono ora di una mancanza di manager ed operai qualificati con esperienza nella costruzione, portando a ritardi e aumenti di costo. Dalton cita come esempi i problemi di saldature a Flamanville, o i reattori in costruzione di Georgia Power, tra le prime nuove unità dopo trent’anni di fermo. Will Salters, un sindacalista impiegato presso l’impianto di Vogtle ha dichiarato: “Abbiamo dovuto addestrare i saldatori e molte altre mansioni affinché diventassero lavoratori nucleari, quasi non ce ne sono più nel Paese. Tutti quelli che avevamo sono in pensione o deceduti.”   Sarà davvero necessario uno sforzo del mondo occidentale per riportare a pieno regime le catene di approvvigionamento di materiali e personale di alta qualità per le applicazioni nucleari?     Immagine di copertina: Sarah Meyssonnier / Reuters

Caro Letta, sul nucleare appoggia Calenda. Scrive Minopoli su Le Formiche

Condividiamo interamente da Le Formiche l’articolo contenente l’opinione del Presidente Minopoli.     Tra mozioni presentate, pronunciamenti delle forze politiche e di personalità rappresentative di esse, si va delineando, in questo Parlamento, uno schieramento favorevole alla ripresa del nucleare. Tendenzialmente maggioritario. L’intervento del presidente dell’Associazione Italiana Nucleare e autore di “Nucleare. Ritorno al futuro. L’energia a cui l’Italia non può rinunciare” (Guerini e Associati)   Azione di Carlo Calenda ha presentato una mozione parlamentare per “inserire il nucleare nel mix energetico italiano”. Altre forze politiche della maggioranza avevano preso iniziative analoghe. Azione, però, si spinge molto avanti: porta numeri e ragionamenti a sostegno. E avanza ipotesi ragionevoli, realistiche e di buonsenso.   Sarà interessante capire gli argomenti che si penserà di opporre a quelli di Azione. Intanto un calcolo interessante: tra mozioni presentate, pronunciamenti delle forze politiche e di personalità rappresentative di esse, si va delineando, in questo Parlamento, uno schieramento favorevole alla ripresa del nucleare, tendenzialmente, maggioritario. Qualcuno ci avrebbe scommesso fino a non molto tempo fa? Molti, pur non ostili al nucleare energetico, si spingevano, al massimo, a preconizzare il nucleare di un lontanissimo futuro (la quarta generazione, la fusione nucleare, quello di un’indistinta ricerca ecc.), sganciato dalle emergenze attuali del sistema energetico.   “Non c’è il tempo, si sosteneva, per immaginare un contributo del nucleare, alla soluzione dei problemi di breve e medio termine del sistema energetico italiano”. Certo, era lecito pensarla così sino alla fine del 2020, quando l’unica tappa decisiva sembrava fosse il 2050, il net zero e il raggiungimento della neutralità carbonica. Al tempo, il ricorso al nucleare, in Europa e nel mondo, sembrava un’opzione realistica per una transizione energetica che appariva troppo hard, costosa ed esposta al fallimento se affidata, esclusivamente, alle sole fonti rinnovabili. Per cui una ripresa generale, in Europa, della discussione sul contributo dell’energia nucleare alla decarbonizzazione. Gli ostili al nucleare, diciamo fino fine del 2020, sembravano consolarsi con una convinzione: certo che del nucleare che già c’è (il 10% ,in circa 33 paesi, della produzione elettrica mondiale) non si potrà fare a meno, come pensare di de-carbonizzare al 2030 e al 2050 senza il contributo di quell’elettricità non carbonica che già c’è? Ma, appunto, il nucleare si pensava di ridurlo ad un residuo: una fonte per chi ce lo ha già. Questa narrazione è franata nel 2021/2022 con due eventi che hanno rappresentato un turning point nelle strategie energetiche: la crisi dei prezzi del gas nell’agosto del 2021: la guerra russa nel febbraio del 2022. Hanno rappresentato la tempesta perfetta. Che ha rivoluzionato le discussioni sulla sicurezza energetica e, anche, complicato ancor più le prospettive della de-carbonizzazione e del net-zero. Ripresa dell’inflazione e spinte recessive, dall’agosto 2021, hanno accelerato e drammatizzato la condizione di dipendenza del ciclo economico, anzitutto europeo, dalla domanda di gas e petrolio. La guerra ucraina ha scoperchiato le conseguenze nefaste del cappio rappresentato dalle importazioni di gas russo sulle economie europee. L’Europa si è scoperta stretta nel più classico dei dilemmi, quello del prigioniero: le strategie individuali dominanti dei singoli (stati) determinano un equilibrio inefficiente. È apparso evidente che del gas russo, che pesa sull’economia europea per il 40%, occorresse liberarsi, ma “per sempre”, come ha tenuto a sottolineare il presidente Draghi. L’Europa, e più di tutti Italia e Germania che, dall’importazione di gas siberiano, dipendono più di tutti. Insomma, rispetto alle pacifiche discussioni sulla de-carbonizzazione, prima della crisi dei prezzi e della guerra, la transizione energetica ha assunto il carattere di una crisi energetica inedita, la più grave del secolo e con una urgenza sconosciuta: il cambiamento del mix energetico, non in un lontano futuro, ma nel prossimo quindicennio. Questa urgenza vale doppiamente per l’Italia. Il nostro mix energetico, per liberarsi del gas russo e per realizzare i targets climatici deve iniziare, da subito, una progressiva sostituzione di gas con elettricità negli usi finali di energia. La mozione di Calenda indica in circa il 160% l’aumento ipotizzabile di energia elettrica sul totale dei consumi finali. L’elettrificazione sarà il grande driver dei consumi energetici dei prossimi anni: da quelli legati alla digitalizzazione, ai trasporti, al riscaldamento, alla produzione di idrogeno, alla ricarica di batterie e sistemi di accumulo e, per finire , alle emergenze ambientali (siccità, acqua, irrigazione ecc.).   Sostituendo il gas, con cui noi facciamo tantissima energia elettrica, con che cosa produrremo questa elettricità? È noto che dovremo produrla con fonti non emissive di CO2 (solare, eolico, idroelettrico, geotermia, biomasse…nucleare). Idroelettrico e geotermia (e biomasse) potranno avere una penetrazione, purtroppo, non molto maggiore del contributo attuale, per ragioni di disponibilità aggiuntiva effettiva. È immaginabile, come qualcuno azzarda, che tutta l’elettricità aggiuntiva di cui avremo bisogno possa essere fornita dalle sole fonti rinnovabili, solari ed eoliche, intermittenti e non programmabili? La mozione di Azione ricorda che, per questo risultato, occorrerebbe immaginare, nel 2050, un aumento dei terawattora generati da rinnovabili del 470%, ad un tasso annuo di aumento, costante per 28 anni, di decine e decine di GW, in un paese in cui riusciamo ad oggi ad installare 1 o 2 GW eolico o solare in alcuni anni. Non è vero che la velocizzazione delle procedure autorizzative risolverà i limiti “strutturali” e fisici delle rinnovabili. Due su tutti: la disponibilità di suoli; l’incidenza del prezzo e della disponibilità di materie prime. Affidare alle sole rinnovabili la totalità del contributo alla crescita dei fabbisogni elettrici è un rischio strategico. Esattamente uguale, se non peggiore, a quello compiuto alla metà degli anni ’80, quando (anche cancellando dal nostro mix la presenza del nucleare) affidammo completamente agli idrocarburi da importazione la conformazione del nostro mix energetico ed elettrico, soprattutto. È saggio, dunque, immaginare un mix elettrico bilanciato, al 2050, di più fonti di generazione elettrica non emissive di CO2: intermittenti e continuative. La mozione di Azione indica un bilanciamento in cui, accanto a fonti rinnovabili che crescono, prepotentemente, di ben il 1250% (rispetto al 2021) figurano 40 GW di potenza nucleare ( più o meno 7/8 centrali di larga taglia). Si va delineando in Parlamento, uno schieramento tendenzialmente…

IEA e il suo report sul nucleare

Secondo l’ultimo report della International Energy Agency (IEA), dovremmo raddoppiare la produzione di energia da nucleare entro il 2050 per arrivare agli obiettivi di emissioni che ci siamo posti e contemporaneamente assicurare la sicurezza ed indipendenza energetiche necessarie alle Nazioni. L’energia nucleare, con i suoi 413 GW in 32 Paesi, contribuisce ad entrambi questi obiettivi evitando 1.5 gigaton di emissioni e 180 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Si prevede che eolico e solare fotovoltaico spingeranno fortemente la sostituzione dei combustibili fossili, ma come sappiamo devono essere necessariamente integrati e supportati da sorgenti energetiche dispacciabili.   Il decennio che seguì la crisi del petrolio del 1973 vide l’inizio della costruzione di quasi 170GW di impianti nucleari, che ancora oggi rappresentano il 40% della potenza nucleare installata. Nell’ultimo decennio invece, la nuova potenza installata è arrivata a soli 56GW.   Secondo la IEA il graduale riconoscimento della potenzialità del nucleare da parte della politica è un segnale positivo e reale e ci fa sperare in un reale ritorno del nucleare.   Uno degli argomenti trattati è l’estensione della vita degli impianti come parte indispensabile per la riduzione dei costi. Circa 260GW (cioè il 63%) degli impianti nucleari odierni hanno più di trent’anni e si avvicinano alla scadenza della loro autorizzazione iniziale. Nonostante alcuni sforzi degli ultimi tre anni di estendere la vita di alcuni impianti (che rappresentano il 10% del totale), il parco nucleare al momento operativo nelle economie avanzate potrebbe ridursi di un terzo entro il 2030. Nello scenario ipotizzato da IEA, la vita di oltre metà di questi impianti viene estesa, riducendo la necessità di potenza aggiuntiva fino a 200GW. Inoltre il costo del capitale per molte delle estensioni è circa di 500-1100 USD per kW nel 2030, portando ad un LCOE (levelised cost of electricity) molto sotto o 40 USD per MWh – competitivo addirittura con solare ed eolico in molte regioni!   Riporta anche del ruolo fondamentale che gli Small Modular Reactors possono dare all’industria. Gli SMR sono reattori piccoli sia in dimensione che in potenza erogata (sotto i 300 MW) e modulari nel senso di fabbricabili in serie e trasportabili – proprietà che si prevede possano abbassare costi e tempi di installazione. Molte nazioni stanno maturando un sempre crescente interesse per questi SMR, che possono essere di diverse tipologie, tra le quali Francia, UK, USA e Canada. È possibile che gli SMR riutilizzino anche gli impianti a combustibili fossili in dismissione, sfruttando le linee di trasmissione già esistenti, le acque di raffreddamento e personale specializzato.   Faith Birol, direttore, ha commentato: “Nel contesto odierno di crisi energetica globale, prezzi dei combustibili fossili alle stelle, la sicurezza degli approvvigionamenti minacciata e obiettivi climatici ambiziosi, credo che si sia creata un’opportunità unica per un ritorno del nucleare. Ma una nuova era per il nucleare non è assolutamente garantita”   Infatti dipenderà dalla capacità dei governi di mettere a terra politiche di lungo termine – sia dal punto di vista dei finanziamenti che della regolamentazione, e dall’industria nucleare (soprattutto occidentale) di migliorare la capacità di costruire in tempo e senza aumenti di costo gli impianti.     La IEA infine ha formulato le sue raccomandazioni: estendere la vita degli impianti esistenti, in modo che possano continuare ad operare in sicurezza quanto più a lungo possibile fare in modo che i mercati elettrici valorizzino la potenza dispatchable a basse emissioni, compensando il nucleare in modo competitivo e non discriminatorio, riconoscendo l’assenza di emissioni e il forte supporto nel mantenere al sicuro la distribuzione di energia elettrica, incluso ad esempio la disponibilità di potenza e il controllo delle frequenze. creare frameworks per supportare i nuovi reattori, frameworks finanziari e di gestione del rischio che possano muovere investimenti ad un costo accettabile promuovere una regolamentazione in materia di sicurezza efficiente ed efficace, assicurandosi che gli enti regolatori abbiano risorse e capacità sufficienti ad esaminare rapidamente progetti e design nuovi, sviluppare criteri di sicurezza armonizzati, coinvolgere potenziali nuovi sviluppatori e il pubblico implementare soluzioni per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari, coinvolgendo anche i cittadini per l’approvazione e la costruzione di depositi per rifiuti ad alta attività accelerare lo sviluppo e l’installazione di small modular reactors, identificando i settori dove possano essere una soluzione efficace ed economica per elettricità, calore e idrogeno e supportando gli investimenti in progetti dimostratori e nella catena di approvigionamento rivalutare i piani sulla base delle performance, per aiutare l’industria nucleare ad installare progetti sicuri senza ritardi e costi aggiuntivi   Consigliamo la lettura dell’intero report a questo link.