L’Austria perde il ricorso contro Hinkley Point C

La Corte di Giustizia Europea ha rigettato il ricorso intentato dall’Austria contro il governo del Regno Unito per il finanziamento del progetto di centrale nucleare Hinkley Point C, che a detta dell’Austria si configurava come aiuto di stato inammissibile secondo le norme europee. La Corte ha invece dato ragione al Regolatore per la Concorrenza della UE, che aveva stabilito che gli aiuti ad Hinkley Point C erano in linea con le norme comunitarie. L’Austria, uno dei Paesi europei che più ostinatamente si oppone all’energia nucleare, aveva intentato una causa simile contro l’ammodernamento della centrale nucleare ungherese di Paks, anche allora senza successo.

Il governo francese stanzia fondi per lo sviluppo di reattori modulari

Il governo francese, alle prese con la crisi economica post-pandemia, ha lanciato un corposo piano di rilancio del valore di 100 miliardi di euro. 30 miliardi saranno destinati alla transizione ecologica, in particolare a misure in grado di abbattere direttamente le emissioni e di rinnovare il parco automobilistico. Tra le misure spicca lo stanziamento di 470 milioni di euro per la formazione e la competitività nel campo nucleare, in particolare per attività di ricerca e sviluppo inerenti i reattori modulari di piccola taglia (SMR). La notizia è stata accolta con una certa soddisfazione dalla Società Francese per l’Energia Nucleare (SFEN), la quale non ha mancato però di sottolineare come siano urgenti decisioni ben più corpose al fine di svecchiare la flotta nucleare francese e garantire la competività della filiera nazionale, la sicurezza energetica e i poani di decarbonizzazione a lungo termine.

Il Partito Democratico USA favorevole al nucleare

In tempi pre-elettorali negli USA anche delle semplici parole fanno notizia. Il supporto al nucleare da parte del Partito Democratico americano, come recentemente riportato sulla piattaforma della compagine politica liberal, merita particolare attenzione perché pone fine a cinquant’anni di non troppo velata contrarietà dei blues all’energia nucleare. Risale infatti al 1972 l’ultima menzione positiva dell’energia nucleare in un testo programmatico ufficiale del partito. Allora il partito dell’asinello si diceva favorevole a ulteriore ricerca e sviluppo nel campo delle fonti di energia non convenzionali, ivi comprese la fusione e lo sviluppo di reattori a fissione autofertilizzanti. Poi anni di oblio alternato ad aperta contrarietà: il documento programmatico del 2016 citava 31 volte la parola nucleare in contesti come “armi nucleari” e “annichilazione nucleare” ma mai “energia nucleare”. Dunque è senza dubbio positivo che il documento di quest’anno menzioni un approccio tecnologicamente neutro alle fonti energetiche, che includa l’utilizzo del nucleare esistente e di futura generazione. Anche il piano energetico presentato recentemente dal candidato democratico alla presidenza Joe Biden menzionava esplicitamente il ricorso all’energia nucleare, in particolare ai reattori modulari di piccola taglia (SMR) che dovrebbero affacciarsi sul mercato nel corso di questo decennio. Quanto queste parole incideranno nei fatti della politica energetica e climatica americana è arduo dirlo. E’ importante, anzi imprescindibile, che il nucleare goda di supporto trasversale nella politica americana, e queste prese di posizione unite a recenti atti legislativi come il NEIMA, potrebbero significare un effettivo impulso alla tecnologia nucleare negli USA. Il condizionale è d’obbligo però, dato che gli interessi contrari restano molti: dalle lobbies degli idrocarburi che vedono nel nucleare un competitore diretto e preferiscono abbracciare le rinnovabili (in quanto queste ultime necessitano della “stampella” del gas naturale”), ai maggiori gruppi ambientalisti quali il Sierra Club che restano tenacemente contrari al nucleare, passando dalla diffidenza del pubblico, sottoposto a molta cattiva informazione, il percorso del nucleare è irto di ostacoli. Gli ingenti investimenti previsti dai democratici in fonti rinnovabili e l’incertezza dei repubblicani che devono fare i conti con i loro finanziatori del settore oil&gas potrebbero effettivamente far pensare che si tratti di un sostegno che rimarrà sulla carta. Tuttavia, se il cambio di pensiero del Partito Democratico è stato indotto da un salutare scontro con la realtà dei fatti e dei numeri, primo fra tutti il dato che gli obiettivi climatici non sono raggiungibili senza il massiccio ricorso alla fonte nucleare, ciò non potrà che tradursi in atti concreti. D’altronde i giovani, tra i quali tradizionalmente il Partito Democratico riscuote maggior consenso, sono in maggioranza favorevoli al nucleare, con punte del 73% tra gli uomini.

Borse di studio Marie Curie in discipline nucleari

E’ aperto il bando IAEA, riservato alle donne, per concorrere alla fruizione di 100 borse di studio del programma IAEA Marie Sklodowska-Curie Fellowship Programme (MSCFP)  dedicato a studentesse iscritte a Corsi di Laurea Specialistica o Master in discipline e tecnologie nucleari. Le beneficiarie fruiscono di una borsa che copre fino a 2 anni di studi presso università accreditate ed hanno inoltre l’opportunità di svolgere una internship di 12 mesi presso la IAEA. E’ possibile inviare la propria candidatura fino alle ore 24 dell’11 ottobre 2020. Per maggiori informazoni visitare la pagina ufficiale.

Minopoli: basta ipocrisie sul nucleare

Riportiamo integralmente l’intervento del Presidente di Associazione Italiana Nucleare, Umberto Minopoli, su Formiche.net Sessantaquattro membri del Parlamento Europeo hanno sottoscritto un appello alla Commissione Europea perché si consideri, ufficialmente, il contributo del nucleare civile nella strategia del green new. E perché l’energia nucleare entri a far parte delle politiche di incentivi agli investimenti, di sostegno alla ricerca, e di stimolo alla produzione al pari delle altre fonti energetiche low carbon. La stessa richiesta è stata avanzata, al Presidente von der Leyen, ai vice-commissari e al Presidente del Parlamento Europeo, da un Forum di utilities elettriche e dai rappresentanti dell’industria nucleare europea (1 milione e 100.000 addetti). È ora di rimuovere l’ipocrisia diffusa sul contributo dell’energia nucleare in Europa: considerata indispensabile ma penalizzata nelle scelte di sostegno. Con 108 centrali esistenti ed operative (in tutti i paesi europei tranne l’Italia), il nucleare contribuisce al 26% dell’elettricità prodotta nell’Ue: un terzo dell’intero fabbisogno elettrico. Senza i 119 GWe prodotti dal nucleare, la stessa contabilità delle emissioni di CO2 del continente cambierebbe radicalmente. Come pure la fattibilità e il realismo della transizione energetica in Europa. Già oggi l’Europa è un importatore netto di energia primaria: pur in arretramento (per la debolezza del ciclo economico) i consumi energetici eccedono (per oltre la metà) la produzione. Per coprire questo gap l’Europa spende 400 miliardi l’anno. È del tutto evidente che nessuna politica realistica di riduzione della dipendenza da fonti esterne, di abbattimento delle emissioni di CO2, di riduzione del contributo delle fonti fossili è ipotizzabile senza, almeno, il mantenimento della quota di produzione elettrica da nucleare nel portafoglio energetico europeo. Semmai, in previsione di una crescita dei consumi sarebbe saggio prevederne l’espansione. Tranne la Germania, che prevede la chiusura dei suoi 8 impianti entro il 2022 ( lo farà?), nessuno dei paesi nucleari europei (GB, Spagna, Svezia, Finlandia, Belgio Olanda) e dei paesi dell’est (Cekia, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Romania, Slovenia) prevede di cancellare la sua produzione nucleare. Anzi, cresce l’importazione di elettricità da nucleare (17% del fabbisogno europeo) da paesi terzi confinanti ( Russia, Ucraina, Svizzera). Si finge di ignorarlo, ma in Europa risultano ben 15 impianti nucleari in costruzione per una capacità di circa 14 GWe. L’ipocrisia diffusa è quella di dare per scontato, in Europa, questo contributo indispensabile del nucleare, ma rimuovere o tacere sulle conseguenze che ne discendono in termini di politiche pubbliche di sostegno. Pur essendo impianti con ciclo operativo di vita (40 anni) utile doppio o triplo di ogni altro impianto energetico, fossile o rinnovabile, esistente il 90% delle centrali attive in Europa, in attività (media) ormai da oltre un trentennio, entro il 2035 raggiungerà la data del suo fine ciclo vita. La gran parte di questa flotta di impianti necessiterà, dunque, di essere rimpiazzata. Non sarà possibile farlo senza un cambiamento che riconosca l’eleggibilità degli impianti nucleari, in quanto fonte no carbon, ai sostegni e agli incentivi della transizione energetica. Non solo. Il nucleare va sostenuto, anche, nella prospettiva. Entro il 2030 la fusione nucleare passerà dalla fase di sperimentazione a quella di dimostrazione della fattibilità. E qui l’Europa ha un ruolo decisivo. Ma, prima di essa, è la frontiera del nuovo nucleare, quello dei piccoli reattori modulari tra i 300 e i 500 MW, intrinsecamente sicuri e “puliti”, a ciclo chiusa del combustibile (senza produzione di scorie), integratori e complementari delle reti di energie rinnovabili, che sta entrando nella fase della fattibilità. Quesito finale: è giusto che l’Italia, fuori dal “vecchio nucleare” (quello dei grandi impianti da oltre 1000 MW) per effetto del referendum del 2011, sia fuori anche dalle innovazioni del futuro e dal “nuovo nucleare”? Scarica l’articolo in formato PDF