La battaglia di retroguardia dell’ambientalismo antinucleare

L’annuncio era nell’aria ed alla fine è arrivato: il Presidente francese Macron, parlando in diretta alla nazione, ha affermato la volontà del governo d’oltralpe di costruire nuovi reattori nucleari (che nei piani di EDF dovrebbero essere 6 per una capacità aggiuntiva di circa 10 GW).

Macron ha motivato la decisione con la lenta ripresa dell’economia post-pandemica, ora gravata dalla crisi energetica che ha fatto impennare i prezzi del gas naturale e, per un effetto domino, anche quelli dell’elettricità.

La decisione non riguarda solo la Francia, la quale è in procinto di assumere la Presidenza dell’Unione, infatti l’inquilino dell’Eliseo ha precisato che “questo nuovo modello di sviluppo [riduzione delle emissioni nel rispetto dell’economia e della sovranità tecnologica degli Stati] è quello in cui crede sia per la Francia che per l’Unione Europea. Chiaro il riferimento all’inserimento del nucleare nella Tassonomia della finanza sostenibile, caldeggiato da 10 Paesi membri visto da molti commentatori come ormai prossimo.

Gli echi politici di questo rinato dibattito sul nucleare si sono avvertiti anche in Italia, dove alle prime timide voci possibiliste o apertamente favorevoli (il nucleare è sempre rimasto nel cuore di un terzo degli Italiani, anche nel 2011 nell’immediatezza dell’incidente di Fukushima) hanno fatto seguito, più rumorose, le pronte barricate ideologiche dei movimenti ambientalisti e di neonati comitati e partitini, che già evocano nuovi referendum già al solo pensare che qualcun’altra in Europa voglia giovarsi della fonte di energia che noi abbiamo, per due volte, rigettato.

Sebbene non vi sia nulla di nuovo nella posizione anti nucleare di gran parte dei movimenti ambientalisti italiani, la novità è costituita dal fatto che tali posizioni oggi sono apertamente anti scientifiche e necessitano spesso per sostenersi e far presa nell’opinione pubblica di una buona dose di cherry picking quando non proprio di spudorate bugie.

La battaglia antinucleare si è nutrita fin dagli anni ’70 di terrorismo comunicativo, avvallato anche dal contributo di romanzi e pellicole cinematografiche di successo, cui l’industria nucleare ha risposto prevalentemente trincerandosi dietro freddi comunicati stampa, quando non addirittura rinunciando alla replica.

Ma oggi, mentre il mondo, impegnato nella lotta sul duplice fronte della risposta alla pandemia e della mitigazione del cambiamento climatico, guarda con sempre maggior apertura e fiducia alla scienza, certe posizioni appaiono decisamente fuori dalla realtà.

E così che, alla litania del nucleare pericoloso e nocivo per l’ambiente, sconfessata non solo dai dati ma anche dai più autorevoli studi scientifici, si aggiungono le frottole.

“Nucleare? Costi fuori mercato. La fusione e i piccoli reattori? Promesse, rimaste tali sulla carta” ripete Silvestrini, presidente del Kyoto Club, su tutti gli organi di informazione che gli concedono spazio.

Parla di costi del nucleare che, unica tra le fonti a basse emissioni, non ha mai ricevuto supporti, mentre gli incentivi, per sua stessa ammissione “forse troppo generosi” erogati da oltre un decennio alle rinnovabili intermittenti, ne hanno visto fermarsi il contributo totale al 37% di energia prodotta (di cui però la parte preponderante la gioca ancora l’idroelettrico).

Inoltre si omette di dire che il nucleare costa perché sconta un capitale iniziale elevato che include anche il ripristino del sito a fine vita (decommissioning), mentre i costi di fotovoltaico ed eolico e dei loro rifiuti, hanno sì mostrato (anche per gli incentivi di cui sopra) un trend in forte calo, ma sono anche molto volatili e tutt’altro che certi qualora si andassero a considerare anche i costi di sistema connessi.

Una centrale nucleare inoltre dura tra i 60 e gli 80 anni (un impianto eolico non oltre 25) ed i costi fissi iniziali del nucleare si ammortizzano in un terzo della sua vita attiva.

Quanto a fusione e piccoli reattori, non sono affatto “promesse sulla carta”. Sui progetti di primi dimostratori (impianti in rete) di “fusione nucleare” sono stati raccolti (in Europa) 2 miliardi di investimenti “privati”. Difficile che un privato investa su una “promessa sulla carta”. Quanto ai piccoli reattori, si calcolano oltre 70 modelli allo stato di progetto avanzato, oltre 12 in sviluppo (sul mercato tra due o tre anni), alcuni che entreranno sul mercato tra pochi mesi e altri già dispiegati. Altro che “promessa sulla carta”, il nuovo nucleare è già una poderosa realtà. E’ ecologico, sicuro e fornirà energia abbondante. Senza di esso possiamo scordarci la transizione e gli obiettivi climatici.

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