I costi del nucleare? Una scelta politica

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera aperta del dott. Pierluigi Totaro, Presidente del Comitato Nucleare e Ragione e socio di AIN -Young Generation in Nuclear. Caro Presidente, ho letto con estremo interesse la tua lettera nella quale auspicavi un sostegno del Governo Italiano ai progetti di reattori modulari (SMR) e condivido con te l’entusiasmo per questa innovativa tecnologia nucleare che dovrebbe affacciarsi sul mercato nel corso di questo decennio. Credo infatti che il centro della questione, non più eludibile in un serio dibattito sulla sostenibilità del nucleare, è che i costi di questa tecnologia sono, in definitiva, una scelta politica. Un rapporto recentemente pubblicato da The Breakthrough Institute – influente think-tank americano che si occupa non di rado di questioni energetiche – analizza alcuni scenari di sviluppo degli SMR NuScale e mostra a quali condizioni economiche essi sarebbero competitivi con le centrali a gas a ciclo combinato, attualmente tra le più convenienti fonti di produzione di energia. La simulazione presentata si basa principalmente su tre fattori: il costo di costruzione (overnight) previsto per i moduli NuScale, il tasso di sconto applicato all’investimento ed il prezzo del gas naturale. Tra questi, come sappiamo, il tasso di sconto è l’elemento più sensibile nei progetti nucleari, i quali vedono un ingente investimento iniziale ed un profitto nel lontano futuro, ed è risultato spesso talmente alto (10-12%) da rendere insostenibili progetti di nucleare convenzionale. Senza addentrarmi nel merito della discussione sul quale sia l’appropriato tasso di sconto da applicare a progetti nucleari, affrontata nel rapporto, mi limito a sottolineare la principale conclusione: la massima differenza di costo (Levelized Cost of Energy, LCOE) tra SMR NuScale e centrali a gas a ciclo combinato, negli scenari considerati, sarebbe pari a 54$ per MWh, ma nella maggior parte dei casi questa sarebbe contenuta sotto i 28$ per MWh. Tanto per capirci, il sussidio necessario a rendere competitivi gli SMR non sarebbe molto dissimile dagli attuali livelli di incentivo di cui godono le rinnovabili negli USA (fino a 25$ per MWh) o il nucleare convenzionale, in alcuni stati come New York (17$ per MWh). Ora proviamo a contestualizzare questa cifra nel contesto italiano. L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha recentemente lasciato inalterato per il quarto trimestre del 2020 il livello degli Oneri di Sistema che grava sulla bolletta elettrica degli utenti domestici italiani per 4.18 centesimi di euro per kWh. Gran parte di questi oneri (il 78.08% nel caso degli utenti domestici) sono incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate, cui le famiglie italiane corrispondono 32.64€ (circa 37$) per MWh di energia consumata. Le famiglie consumano però solo una frazione dell’elettricità in Italia (circa il 22%), quindi l’incentivo alle rinnovabili è maggiore di quanto sopra stimato. Stando agli ultimi dati disponibili, nel 2019 il totale di questi incentivi che pesano sulla bolletta elettrica ha di poco superato gli 11 miliardi di euro[1] ed è stato distribuito su una produzione rinnovabile di 63 TWh. A conti fatti dunque, le rinnovabili e le fonti ad esse assimilate (come i rifiuti urbani) godono in Italia di un incentivo pari a circa 178€ (circa 210$) per MWh. Se però andiamo a guardare il dettaglio della ripartizione degli incentivi, vediamo che il fotovoltaico si mangia il 51.77% della torta (quasi 6 miliardi di euro annui), a fronte di una produzione incentivata di 20.6 TWh (sempre nel 2019), portando l’incentivo alla produzione di energia solare alla cifra esorbitante di 282€ per MWh, ovvero circa 330$ per MWh. Basterebbe dunque un sussidio pari al 10% di quello attualmente goduto dal fotovoltaico per rendere gli SMR competitivi con il gas naturale. In conclusione, in Italia più che altrove, la presunta insostenibilità economica del nucleare è l’effetto dell’immane distorsione del mercato a favore delle rinnovabili, conseguenza di precise scelte politiche, e potrebbe essere facilmente colmata senza ulteriori oneri per i contribuenti. Di questi fatti gli italiani dovrebbero essere edotti, affinché anche le giovani generazioni, che di queste decisioni politiche porteranno il peso, possano dire la loro. [1] Per confronto gli oneri per il finanziamento di attività nucleari residue ammontano a 476 milioni

Minopoli: anche l’Italia deve scommettere sui reattori del futuro

Pubblichiamo di seguito la lettera indirizzata dal Presidente di Associazione Italiana Nucleare, Umberto Minopoli, ai direttori de Il Corriere della Sera e La Repubblica. Caro Direttore, La Francia, nei suoi progetti per il Recovery Fund, ha dedicato 470 milioni di euro per attività di ricerca e sviluppo nei i reattori modulari di piccola taglia, gli SMR (small modular reactors). Si tratta della nuova generazione di reattori nucleari caratterizzati da alcune rivoluzionarie novità: la taglia (da pochi MW fino ai 300 o 400 MW di potenza); la modularità, flessibilità e compattezza (che abbatte i tempi di costruzione e le rigidità localizzative dei tradizionali impianti nucleari); la “sicurezza intrinseca” che elimina “fisicamente” le fonti di rischio dei reattori correnti; il trattamento delle scorie (la quantità e qualità del rifiuto finale si abbatte drasticamente). L’SMR, in caso di anomalia, si arresta per “cause naturali”, cancellando la necessità dell’intervento umano o dell’alimentazione esterna  (i due fattori critici negli incidenti nucleari). Negli SMR, infine, si realizza il principio del perfetto ciclo “circolare” del rifiuto: il combustibile è riutilizzato fino quasi al suo completo esaurimento. Per la taglia, la facile localizzabilità e trasportabilità, gli SMR sono l’ideale per funzionare come sistema di back up delle reti rinnovabili, per correggerne l’intermittenza che oggi pregiudica il pieno utilizzo degli impianti eolici, solari termici e fotovoltaici. Nel mondo sono in fase di sviluppo e industrializzazione una ventina di modelli. Su questi nuovi reattori del futuro scommette il governo francese. Inutile dire che Usa, Cina e Russia corrono a passo veloce, ma emergono nuovi protagonisti: dall’Argentina al Sud Africa o imprese innovative con visione del futuro: uno dei progetti in corso è il Terrapower di Bill Gates. L’Europa si smuove ora attraverso la Francia. Il paradosso è che l’Italia non sarebbe una new-entry nel settore. Non solo eravamo, negli anni 60 e 70, pionieri nei primi progetti di reattori di limitata potenza e dimensione, ma lo siamo attualmente nei progetti europei di SMR. L’Europa ha selezionato 6 progetti strategici nei reattori nucleari del futuro. In competizione tra loro. Di uno dei più promettenti dei 6, il progetto Alfred di reattore a piombo, è protagonista l’Italia (con Enea, Ansaldo Nucleare, Università e pmi tecnologiche) che guida il team internazionale di progetto. La Francia si appresta a sostenere con il Recovery Fund il suo progetto di reattore del futuro. Cosa impedisce al governo italiano di seguire l’esempio francese? E collocare il Paese su una frontiera innovativa del futuro, finanziando il progetto italiano di SMR? Credo manchi solo un po’ di coraggio e apertura mentale.

Rosatom pronta ad espandere la sua offerta di reattori modulari

Archiviata con successo l’esperienza dell’entrata in servizio della prima centrale nucleare galleggiante, l’Akademik Lomonosov, nella Siberia Nord Orientale, l’azienda di stato russa Rosatom guarda già avanti ai possibili sviluppi di un mercato internazionale di reattori modulari Made in Russia. Il centro studi Iceberg, dove vengono progettati i rompighiaccio a propulsione nucleare, starebbe già sviluppando la versione “di potenza” dei reattori RITM-200 (già montati sui rompighiaccio Arktika, Sibir e Ural), per l’installazione sia a terra che galleggiante. La serie RITM rappresenta un’evoluzione (Gen III+) della serie KLT-40 (Akademik Lomonosov) e può vantare aumentata efficienza (40% in più di potenza elettrica) e ridotte dimensioni (45% in meno). La riduzione delle dimensioni è stata ottenuta incorporando i generatori di vapore nel vascello di contenimento pressurizzato del reattore. Le caratteristiche di sicurezza prevedono 3 livelli di contenimento, pressurizzatore a doppio circuito indipendente e una combinazione di misure ridondanti e fisicamente indipendenti volte a garantire una elevata sicurezza in caso di situazioni incidentali, assicurando la funzionalità dei sistemi di raffreddamento d’emergenza per 72 ore senza intervento di operatori e in assenza di alimentazione elettrica. La versione terrestre di questo impianto prevede due moduli per una potenza elettrica complessiva di 114 MW (330 MW termici) scalabile fino a 6 moduli e capace di fornire in cogenerazione elettricità e calore industriale utilizzabile ad esempio per teleriscladamento, produzione di idrogeno o desalinizzazione dell’acqua. Il reattore ha un ciclo di rifornimento del combustibile di 6 anni ed una vita utile di 60 anni. Limitatissimo l’uso del suolo, che va da 0.06 kmq nella versione a due moduli (meno di dieci campi da calcio) a 0.12 kmq nella versione a 6 moduli. La centrale infatti prevede una parte comune in cui sono siti gli edifici ausiliari, ed un’area ristretta (edifici reattore e turbine) che può essere via via allargata per far spazio a nuovi moduli ad incrementi di 100 MW. Rosatom avrebbe già individuato alcuni siti potenzialmente candidati all’installazione di questi reattori modulari in territorio russo, e conta di immetterli nel mercato nel 2027. La stessa tipologia di reattori sarebbe installata su OPEB (Optimized Floating Power Unit), l’evoluzione dell’Akademik Lomonosov, anch’essa più semplice strutturalmente, più efficiente e meno costosa. Secondo Gleb Makeev, capo progettista presso Iceberg, l’unità è progettata per operare anche in mari tropicali e sub tropicali, con temperature dell’acqua fino a 40°C e temperature dell’aria fino a 47°C. Traspare dunque evidente l’interesse di espansione verso mercati di Paesi in via di sviluppo, come quelli dell’Africa, dove questa tipologia di reattore potrebbe essere installata e fornire elettricità alle città costiere e ai villaggi limitrofi. OPEB: dati tecnici Lunghezza: 112 m Larghezza: 30 m Pescaggio: 5,84 m Stazza: 18.67 mila tonnellate Vita utile totale: 60 anni Dimensioni dell’equipaggio: 54 persone Potenza elettrica: 100 MW Rispetto alla versione terrestre, l’OPEB non produce calore ma solo elettricità. A differenza del KLT-40 inoltre, il ciclo di combustibile (10 anni) coincide con quello di manutenzione del reattore (che non viene svolta in loco ma presso un cantiere navale) eliminando la necessità di stoccare il combustibile esausto presso il sito di produzione, riducendo ulteriormente le dimensioni e l’impronta della centrale. Si tratta dunque di una centrale nucleare “chiavi in mano”, che viene trainata da rimorchiatori al sito prescelto per la produzione, riportata in cantiere per manutenzione ogni 10 anni, e ritirata a fine vita, eliminando le necessità di decommissioning presso il sito (che verrebbero svolte presso il cantiere navale o altro sito adeguato). Il personale, anch’esso in numero ridotto rispetto all’Akademik Lomonosov, verrebbe alloggiato presso le strutture ausiliarie sulla terraferma, le uniche a dover essere dismesse o convertite ad altri usi al termine della vita operativa della centrale, ma prive di contaminazione radiologica. Per approfondire: https://aris.iaea.org/Publications/SMR_Book_2020.pdf Floating NPPs, a Solution for Electricity Demand in Hot Countries?

Il governo francese stanzia fondi per lo sviluppo di reattori modulari

Il governo francese, alle prese con la crisi economica post-pandemia, ha lanciato un corposo piano di rilancio del valore di 100 miliardi di euro. 30 miliardi saranno destinati alla transizione ecologica, in particolare a misure in grado di abbattere direttamente le emissioni e di rinnovare il parco automobilistico. Tra le misure spicca lo stanziamento di 470 milioni di euro per la formazione e la competitività nel campo nucleare, in particolare per attività di ricerca e sviluppo inerenti i reattori modulari di piccola taglia (SMR). La notizia è stata accolta con una certa soddisfazione dalla Società Francese per l’Energia Nucleare (SFEN), la quale non ha mancato però di sottolineare come siano urgenti decisioni ben più corpose al fine di svecchiare la flotta nucleare francese e garantire la competività della filiera nazionale, la sicurezza energetica e i poani di decarbonizzazione a lungo termine.

NuScale al traguardo della certificazione del design, ma la strada è ancora in salita

NuScale Power è la prima azienda, e per ora l’unica, ad ottenere da parte della Nuclear Regulatory Commission (NRC) statunitense la certificazione del proprio design di Small Modular Reactor. Tale certificazione, ottenuta al termine di un esame di tutte le specifiche di sicurezza del concetto di reattore proposto, ha durata di 15 anni (rinnovabile) e sostanzialmente apre le porte alla commercializzazione dei reattori modulari NuScale. Il parere positivo ottenuto dall’Advisory Committee on Reactor Safeguards (ACRS) non è tuttavia senza ombre. In particolare è stato rilevato un possibile difetto nell’impianto di raffreddamento del nocciolo, nel quale acqua addizionata di boro circola più volte attraverso cicli di evaporazione e condensazione. Tuttavia, la fase di evaporazione priverebbe l’acqua del boro, riducendone la capacità di assorbire neutroni, dunque di interrompere la reazione a catena. NuScale avrebbe già risolto questo potenziale problema, malgrado ciò l’ACRS ha chiesto un’ulteriore valutazione di questo meccanismo di sicurezza e del rischio connesso all’immissione accidentale nel circuito di acqua priva o povera di boro, richiesta fatta propria dalla NRC. Tali approfondimenti saranno dunque oggetto d’esame al momento della richiesta di licenza operativa per uno o più reattori NuScale. L’importante traguardo della certificazione del design è ulteriormente offuscato dai tentennamenti del primo cliente annunciato di NuScale, la Utah Associated Municipal Power System (UAMPS): l’utility elettrica ha infatti in progetto la realizzazione di una centrale NuScale da 12 moduli di potenza complessiva pari a 720 MW la cui costruzione dovrebbe cominciare nel 2023, per essere operativa nel 2026. Tuttavia, citando l’aumento dei costi attesi e l’intervenuta contrarietà al progetto di alcune municipalità che aderiscono all’utility, UAMPS avrebbe espresso a NuScale l’intenzione di rimandare il progetto di 3 anni. La posizione più cauta di UAMPS potrebbe essere dovuta anche ad una campagna stampa fortemente ostativa al progetto, montata da alcuni media locali anche ad opera di organizzazioni ambientaliste, come The Union of Concerned Scientists e Uranium Watch, da sempre su posizioni critiche o del tutto contrarie al nucleare. Gli sforzi di NuScale per far percepire i reattori modulari intrinsecamente sicuri, tanto da postulare la riduzione quasi a zero dell’attuale area di emergenza (di 32 km di diametro) prevista per la loro installazione, non sembrano per ora aver fatto presa, almeno nel pubblico. Secondo i detrattori, il design che ha ottenuto la certificazione prevede moduli di potenza pari a 50 MW ciascuno, mentre la centrale dello Utah vedrebbe moduli di 60 MW di potenza, che dunque richiederebbero una nuova valutazione. Dal canto suo NuScale replica che l’aumento di potenza del 20% ricade negli ampi margini di sicurezza del design e non ha implicazioni di sicurezza rilevanti. Inoltre la licenza dello specifico impianto avverrebbe in seguito ad un altro esame approfondito da parte della NRC, come da prassi. Sul fronte dei costi, a chi obietta che il progetto sia troppo costoso per una utility privata, UAMPS risponde che i costi previsti sono pari a 55 $ al MWh, competitivi quindi con altre fonti di produzione elettrica, quali il gas naturale e le rinnovabili. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in un precedente articolo sui reattori modulari, molta della fortuna di questi progetti dipenderà però non soltanto dalla loro capacità di mantenere le promesse, ma anche dall’apertura mentale degli organismi regolatori e dalla loro capacità di evolvere al pari della tecnologia e, per quanto riguarda la riduzione dei tempi e dei costi di costruzione, dalla capacità di armonizzare a livello internazionale i requisiti normativi.