Il Bangladesh punta ad una seconda centrale nucleare

Il Bangladesh vuole costruire una seconda centrale nucleare, dopo il completamento della prima. E’ l’orientamento emerso dall’incontro tra il Primo Ministro Sheikh Hasina e l’Amministratore Delegato di Rosatom, Alexey Likhachov. La dichiarazione è stata rilasciata a margine delle celebrazioni per l’installazione del reactor vessel dell’unità 1 della centrale di Rooppur. La centrale, la cui costruzione è iniziata nel 2017, prevede l’installazione di due unità VVER-1200 di progettazione russa per una potenza complessiva pari a 2160 MWe, ed è prevista entrare in servizio tra il 2023 e il 2024. Fornirà circa il 20% del fabbisogno elettrico del Paese (80 TWh nel 2020), per ora coperto al 98% da combustibili fossili. Per questo motivo il Governo vede positivamente l’espansione dell’energia nucleare, che risponde al bisogno di sicurezza degli approvvigionamenti e contemporaneamente alla riduzione delle emissioni. Appena 10 anni fa, soltanto il 60% della popolazione del Bangladesh aveva accesso all’energia elettrica. Oggi la quota si attesta oltre il 90%.

UNECE: nucleare essenziale alla decarbonizzazione, necessarie politiche favorevoli

L’energia nucleare può giocare un ruolo molto importante nella decarbonizzazione, anzi, come già enunciato in numerosi rapporti di agenzie internazionali, gli obiettivi climatici posti al 2050 non possono essere raggiunti senza l’impiego dell’atomo. Tuttavia la politica deve dare un segnale chiaro all’industria nucleare, permettendo a questa tecnologia, sia nelle sue forme esistenti sia in quelle attualmente in fase di sviluppo, di competere alla pari con le altre fonti a basse emissioni. E’ questa in sostanza la conclusione del breve rapporto sulla tecnologia nucleare rilasciato recentemente dalla United Nations Economic Commission for Europe (UNECE). Il documento è parte di una serie tematica che analizza tutte le fonti di energia. I contenuti sono il frutto di due workshop svoltisi alla fine del 2020 e sono stati sintetizzati dalla UNECE Task Force on Climate Neutrality, che raduna esperti internazionali del settore energetico. 292 reattori sono operativi nei Paesi membri UNECE, dove producono il 20% dell’elettricità e costituiscono il 43% della generazione a basse emissioni. Tuttavia, le fonti fossili dominano ancora il mercato preponderantemente. Nell’ultimo ventennio, oltre 70 reattori sono stati scollegati dalla rete nell’area UNECE, nella metà dei casi essendo rimpiazzati da fonti fossili, con evidente danno al processo di decarbonizzazione. Le centrali nucleari però hanno un elevato potenziale di riduzione delle emissioni perché possono produrre in modo continuato sia elettricità che calore utile a diversi processi, dal riscaldamento residenziale agli usi industriali. Benché i costi comparati per unità di energia prodotta (LCOE) siano in molti Paesi competitivi con le altre fonti a basse emissioni, il nucleare sconta comunque le difficoltà insite nell’elevato costo capitale iniziale e gli alti costi di finanziamento di progetti spesso lunghi e soggetti al mutare delle agende politiche e alla volubilità dell’opinione pubblica. Ecco perché il rapporto indica come priorità per favorire la salvaguardia della flotta nucleare esistente come pure la maturazione delle tecnologie avanzate (SMR e altri reattori di IV generazione) l’instaurazione di politiche di supporto che consentano al nucleare di competere alla pari con le altre fonti a basse emissioni. Nello specifico, tre linee di azione principali vengono suggerite: 1) mettere sullo stesso piano rinnovabili e nucleare, sulla base della simile potenzialità di riduzione delle emissioni; 2) accelerare lo sviluppo delle tecnologie nucleari avanzate per favorirne l’ingresso sul mercato; 3) creare un clima a lungo termine favorevole agli investimenti nel nucleare, a cominciare dal suo inserimento nel numero degli investimenti sostenibili. Il rapporto fornisce anche un valido confessato di informazioni di contesto più ampio, dall’evoluzione dei costi del sistema elettrico al variare della penetrazione delle rinnovabili intermittenti alle esternalità ambientali e sanitarie delle varie fonti di energia. Si evince così che, già con una penetrazione pari al 50%, le rinnovabili intermittenti renderebbero l’elettricità più costosa del nucleare (figura 17). Inoltre, l’impatto ambientale e sanitario del nucleare (sul ciclo di vita) è molto ridotto, più esiguo del solare e secondo solo all’eolico per quanto riguarda i potenziali danni agli ecosistemi (figura 21). Nel frattempo i costi del gas naturale, il miglior candidato nella sostituzione della capacità nucleare e nel fornire backup alle rinnovabili intermittenti, stanno rapidamente aumentando su tutti i mercati internazionali, riducendo il margine di competitività che esso vanta sul nucleare. Il rialzo di prezzo attuale (che in alcuni casi negli Usa ha superato i 100 $/MWh) potrebbe essere temporaneo, dovuto alla ripresa della domanda dopo il lockdown globale, ma potrebbe anche rappresentare un’avvisaglia di un futuro in cui il combinato gas-rinnovabili intermittenti rappresenterà l’asse portante del sistema energetico globale. In un precedente rapporto rilasciato la scorsa primavera, la stessa UNECE aveva evidenziato il contributo positivo del nucleare a tutti gli obiettivi dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030.

La Corea punta sulla propulsione nucleare nel trasporto marittimo

Il Korean Atomic Energy Research Institute (KAERI) e Samsung Heavy Industries hanno siglato un accordo per la ricerca e lo sviluppo di piccoli reattori modulari (SMR) per la propulsione navale e per la produzione di energia off-shore. In particolare, oggetto della ricerca sarebbero i reattori a sali fusi (Molten Salt Reactor, MSR) che nelle intenzioni di Samsung Heavy Industries potranno rappresentare un punto di svolta nella transizione del trasporto marittimo verso l’uso di energia a basse emissioni. L’accordo di coperazione include lo sviluppo e la verifica delle prestazioni della soluzione tecnologica scelta, lo sviluppo di un modello di business e la valutazione economica della produzione di energia nucleare off-shore e della propulsione nucleare per navi mercantili. Parallelamente, Samsung Heavy Industries è già impegnata nella ricerca di alternative ai combustibili fossili nel trasporto commerciale marittimo, quali l’ammonia e l’idrogeno. Il trasporto marittimo è uno dei settori più difficili da decarbonizzare e causa da solo il 2.5% delle emissioni globali, con prospettive di crescita al 2050 (sia in termini assoluti che relativi) se non verranno individuate soluzioni alternative. Già nel 2020, la Kepco Engineering & Construction Company e Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering avevano siglato un Memorandum of Understanding per lo sviluppo di reattori nucleari off-shore. Simili piani di sviluppo sono stati avviati dalla Cina, mentre la prima centrale nucleare galleggiante russa, la Akademik Lomonosov, dal dicembre 2019 fornisce energia ad un insediamento minerario isolato della Siberia. La propulsione nucleare inoltre è ampiamente utilizzata per i vascelli militari e per i rompighiaccio, e in passato trovò alcune applicazioni anche per il trasporto mercantile, che però si dimostrarono, per quei tempi, antieconomiche.

Biden punta a decarbonizzare il settore elettrico nel 2035, ma la chiusura di centrali nucleari negli USA non si arresta.

In occasione della Giornata della Terra che ricorre il 22 aprile, il presidente americano Biden ha rilasciato una dichiarazione con la quale rilancia gli obiettivi climatici degli Stati Uniti, di recente rientrati nel consesso dei firmatari degli Accordi di Parigi. Il presidente americano promette un sostanziale taglio delle emissioni di carbonio entro la fine di questo decennio, pari al 50-52% rispetto al 2005. Gran parte di questa riduzione dovrà essere coperta dalla totale decarbonizzazione del settore elettrico, prevista a partire dal 2035. Nelle intenzioni della Casa Bianca gli USA faranno ricorso a tutte le tecnologie disponibili, dalle rinnovabili alla cattura e sequestro del carbonio (CCS), passando per il nucleare. Per il settore nucleare in particolare l’amministrazione USA promette di far leva sulla flotta esistente, assicurando il prolungamento della vita operativa in condizioni di sicurezza ambientale e dei lavoratori e di giustizia sociale. Il nucleare inoltre dovrebbe contribuire alle emissioni del settore industriale e dei trasporti, affermandosi come fonte di produzione di idrogeno. Le dichiarazioni di Biden sono state accolte con favore nel consesso internazionale, con il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, tra i primi a complimentarsi per gli ambiziosi obiettivi che la nuova amministrazione USA si pone. Tuttavia non è tutto oro quel che luccica. Esattamente due giorni prima Joe Manchin, Presidente della Commissione per l’Energia e le Risorse Naturali presso il Senato americano, si è rivolto al presidente con una lettera contenente un accorato appello per salvare la flotta nucleare americana dalla chiusura prematura. Nell’ultimo decennio infatti il numero di reattori negli USA è sceso da 104 a 94, e un totale di 5.1 GW di capacità sarà disconnessa solo nell’anno 2021. Il nucleare produce negli USA circa il 55% dell’energia low-carbon, evitando l’emissione di circa 500 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Senza un cambio di passo nella politica energetica, metà della flotta sarà disconnessa dalla rete entro il 2030. Tale evenienza non solo comprometterebbe il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, ma avrebbe anche serie implicazioni sulla sicurezza della rete elettrica, sulla sua resilienza agli eventi estremi e sulla continuità dell’approvvigionamento elettrico. Un caso emblematico, che sta sollevando in questi giorni resistenze nell’opinione pubblica a livello locale ed internazionale, è la chiusura della centrale di Indian Point, nello stato di New York. La chiusura del terzo (e ultimo) reattore è prevista per il prossimo 30 aprile, e segue di un anno la chiusura del reattore 2. Eppure, le due unità insieme generavano l’81% dell’energia pulita nella parte meridionale dello stato (che include New York City) e la loro uscita di scena equivale, in termini di elettricità prodotta, a 2.5 volte l’apporto combinato di solare e eolico nello stato, una differenza che sarà difficile da colmare se non con il ricorso ai combustibili fossili. Le centrali nucleari esistenti costituiscono un fondamentale contributo alla decarbonizzazione a costi irrisori (in quanto l’investimento è stato già ripagato). Ci auguriamo che l’amministrazione Biden se ne renda conto prima che sia troppo tardi, al di là dei proclami e delle dichiarazioni d’intento.

L’energia nucleare a supporto della decarbonizzazione

Pubblichiamo di seguito la versione italiana del Position Paper di Nuclear for Climate in vista della conferenze delle Nazioni Unite sul Clima (COP26) che si terrà a Glasgow il prossimo novembre. La versione originale in inglese è scaricabile in calce. Ringraziamo Giuseppe Canzone per la redazione del testo in italiano e per le note esplicative. Net Zero Needs Nuclear -Position paper 2021 Nuclear for Climate è un’iniziativa che parte dal basso e che riunisce professionisti e scienziati del settore nucleare di oltre 150 associazioni. L’obiettivo di Nuclear for Climate è di instaurare un dialogo con i responsabili politici e il pubblico sulla necessità di includere l’energia nucleare tra le soluzioni “carbon free” atte a mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Auspichiamo un futuro prospero per tutti, in cui le attività umane siano a basse emissioni di carbonio e sostenibili. La nostra missione è accelerare la capacità del mondo di raggiungere la decarbonizzazione [del sistema energetico, ndr] entro il 2050, promuovendo la collaborazione tra il settore nucleare e le tecnologie alla base delle fonti di energia rinnovabili. Crediamo nello slogan “Net Zero Needs Nuclear“ per questi motivi: ➢ L’energia nucleare è una fonte di energia a basse emissioni di carbonio: è comprovato che l’energia nucleare sia una fonte di energia a basse emissioni di carbonio che non solo può contribuire a ridurre le emissioni di gas serra ma è in grado di sostituire efficacemente la nostra attuale dipendenza energetica dagli inquinanti combustibili fossili. ➢ L’energia nucleare è allo stato dell’ arte, disponibile, scalabile e dispiegabile: per raggiungere l’ obiettivo di decarbonizzazione del sistema energetico (Net Zero) è necessario che nuove centrali elettronucleari siano dispiegate su vasta scala e con urgenza, in sinergia con le fonti energetiche rinnovabili [in particolare con l’idroelettrico, ndr]. ➢ L’energia nucleare è una fonte di energia pulita, flessibile e conveniente: il nucleare può integrarsi con le fonti di energia rinnovabili, bilanciando le fonti intermittenti [e utilizzando l’idroelettrico come sistema principale di accumulo] per ottenere sistemi energetici puliti, efficienti e convenienti. ➢ Il nucleare non fornisce soltanto elettricità a basse emissioni di carbonio: il nucleare è anche in grado di supportare la decarbonizzazione di altri settori economici (industria e servizi). ➢ Il nucleare sostiene lo sviluppo globale, inclusivo e sostenibile: il nucleare porta benefici socioeconomici globali che sono congruenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. A cinque anni dalla firma dell’Accordo di Parigi, ci stiamo rendendo conto dell’enormità della sfida che il mondo deve affrontare per limitare l’aumento della temperatura globale di 1,5 °C. La situazione climatica globale è critica e dobbiamo lavorare insieme se vogliamo raggiungere l’ambizioso obiettivo della decarbonizzazione [del sistema energetico, ndr] entro il 2050 e proteggere il futuro del nostro pianeta. Le strategie finora adottate non si sono rivelate efficaci mentre il 2050 si avvicina sempre più. Quindi dobbiamo agire ora. La conferenza COP26 di Glasgow rappresenta un’opportunità fondamentale per le nostre nazioni di riunirsi e agire [in modo coordinato, ndr], è necessario acquisire una visione comune sui problemi climatici [e ambientali, ndr] per trovare un strategia di intervento per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione (Net Zero). Chiediamo a tutti i negoziatori e ai responsabili politici che parteciperanno alla COP26 di adottare un approccio neutrale dal punto di vista tecnico-scientifico verso quelle politiche energetiche favorevoli ad una integrazione tra energia nucleare e fonti energetiche rinnovabili. L’energia nucleare è una fonte di energia a basse emissioni di carbonio: è comprovato che l’energia nucleare sia una fonte di energia a basse emissioni di carbonio che non solo può contribuire a ridurre le emissioni di gas serra ma è in grado di sostituire efficacemente la nostra attuale dipendenza energetica dagli inquinanti combustibili fossili. Da oltre 60 anni il nucleare è una delle principali fonti di energia a basse emissioni di carbonio. Con circa 440 reattori in funzione in 30 paesi diversi, il nucleare rappresentava, alla fine del 2019, il 10% della produzione mondiale di elettricità. È la seconda più grande fonte di energia a basse emissioni di carbonio, dopo l’energia idroelettrica. La “carbon intensity” di una centrale nucleare, ovvero la quota di CO2 emessa da una centrale nucleare rispetto all’energia fornita, durante tutta la sua vita operativa, è molto bassa dello stesso ordine di grandezza di quelle dell’energia eolica e idroelettrica. I paesi a più bassa carbon intensity sono quelli nel cui mix energetico è presente una grande componente di energia nucleare e idroelettrica. La Francia, che produce circa tre quarti della sua energia elettrica da fonte nucleare, ha le emissioni di CO2 pro capite più basse tra i sette maggiori paesi industrializzati (G7). Utilizzando l’energia nucleare come fonte primaria, in sostituzione dei combustibili fossili, è stato possibile, a partire dal 1970, evitare l’immissione in atmosfera di un quantitativo di gas serra pari a 60 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2. L’utilizzo del nucleare in luogo dei combustibili fossili è servito a prevenire circa 1,84 milioni di morti legate all’inquinamento atmosferico e si stima che altri 7 milioni di morti potrebbero essere evitati entro il 2050 se il nucleare sostituisse le fonti di combustibili fossili su larga scala. Nonostante l’impressionante crescita globale (circa il 500%) del solare e dell’eolico tra il 2000 e il 2018, l’uso dei combustibili fossili è rimasto costante, rappresentando circa l’80% dell’energia consumata a livello mondiale. Ciò è correlato ad un calo della quota del nucleare nel mix energetico nello stesso periodo di tempo, anche se la produzione nucleare in termini assoluti è aumentata. I Paesi che negli ultimi anni hanno deciso la chiusura delle loro centrali nucleari hanno incontrato difficoltà a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili [in particolare per quanto riguarda la generazione elettrica, ndr]. In Germania, a seguito di una graduale eliminazione del nucleare, la quota percentuale di combustibili fossili come fonte di energia primaria è diminuita di meno dell’1% dal 2010 nonostante i massicci investimenti (178 miliardi di euro) a sostegno delle fonti rinnovabili [in particolare eolico e fotovoltaico, ndr]. L’energia nucleare è allo stato dell’ arte, disponibile, scalabile e dispiegabile: per raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione…