Facciamo rete con l’Europa, da “Nucleare: Ritorno al futuro”

Nel suo ultimo libro, Nucleare: Ritorno al futuro, il presidente Minopoli sviscera una delle proposte di AIN per il futuro dell’elettricità – all’unico livello sensato: quello UE.

 

Viviamo tutti sulla pelle i risultati della poco lungimirante – per usare un eufemismo – politica energetica del nostro Paese e non solo. Già dall’estate 2021 abbiamo visto l’impatto dell’insufficienza di gas, naturalmente esacerbata dalla crisi ucraina. Negli ultimi mesi si è parlato di razionamenti, lo spettro dei blackout aleggia; ma è proprio questo il momento in cui occorrerebbe coraggio: superare la visione emergenziale e finalmente adottare e perseguire un mix elettrico (ma anche energetico) che possa sostenere il sistema Paese a lungo termine.

Non basteranno le fonti rinnovabili che pure dovranno considerevolmente aumentare il loro peso nel mix del Paese. Nel 2020 le fonti di energia rinnovabile hanno coperto il 38% dei consumi di energia elettrica: il contributo preponderante resta quello della fonte idroelettrica, una ricchezza naturale, purtroppo con sviluppo limitato, che copre quasi i due terzi di questo consumo.

La potenza installata delle fonti di energia rinnovabile ha raggiunto i 56,6 GW, crescendo a tassi sostenuti in tutti questi anni. Oggi, ancor più, dopo la crisi ucraina si parla di aggiungere, entro il 2030, 70 GW di energia rinnovabile al nostro mix elettrico.

Praticamente 9 GW all’anno – quando a stento adesso aggiungiamo 1GW all’anno. Solo colpa della lentezza delle autorizzazioni? No, la penetrazione delle rinnovabili è limitata da limiti oggettivi, tra i quali il consumo di suolo, la necessità di un backup per le intermittenti, e talvolta la necessità di adeguare la rete elettrica.

La stessa enel, che è diventata il principale produttore di energia rinnovabile, nei suoi piani triennali non va oltre 1 GW di previsione annua. […] Per quanto si possa incrementarne la quota, è impensabile, insomma, che l’energia rinnovabile possa diventare sostitutiva, nella produzione elettrica, del gas importato e cambiare il nostro mix elettrico.

 

Il nostro sistema energetico italiano è davvero troppo facile, il dialogo sul nucleare in Italia va riaperto.

Come? Anzitutto, in una chiave europea. È presumibile che, nei prossimi anni, dovremo aumentare la quota di energia elettrica (oggi il 13,5% del fabbisogno, pari a 42,8 TWh) che importiamo dai Paesi vicini (compreso quella nucleare francese, svizzera o slovena prodotta a meno di 200 km dal nostro confine). Questa quota crescerà: probabilmente, da subito, per ulteriori 800 MW.

Adeguare l’interconnessione elettrica è più facile che gestire gasdotti o siti di stoccaggio di gas. Per questo dovremo compensare con maggiore elettricità importata e non più solo con gasdotti e navi metaniere.

Questo ci rende molto interessati al destino del nucleare in Europa, che, per i Paesi che vi ricorrono, è la fonte sostitutiva dei fossili, insieme alle rinnovabili, nel mix elettrico. Forse è opportuno, da parte dell’Europa, considerare la generazione elettrica da nucleare non solo una scelta domestica, dei singoli Paesi, ma una risorsa strategica dell’intera UE. Certamente, questo è nell’interesse dell’Italia. Una proposta è stata avanzata dall’Associazione Italiana Nucleare: investire (per esempio come consorzi di utilizzatori) sulle centrali nucleari in costruzione ai nostri confini (che sono tutte potenziamenti, con nuovi impianti, di quelle esistenti).

I consorzi si impegnerebbero a investire nelle nuove centrali per quote che potrebbero ritirare, anticipatamente, a prezzo concordato, da quelle già operative, nel periodo intercorrente sino all’entrata in funzione dei nuovi impianti. È lo schema che enel aveva concordato sulla centrale EPR in costruzione di Flamanville. Fu cancellato, insieme al resto, dal referendum del 2011.

E qui sentiamo già nelle orecchie la solita obiezione: troppi anni per la costruzione di una centrale. Oltre alla limitata validità di questa affermazione, bisogna dire che anche molte delle misure proposte oggi come soluzioni all’emergenza richiederanno tempi lunghi, in qualche caso fino a dieci anni (cioè quanto servirebbe oggi per costruire una centrale di terza generazione). Addirittura alcune innovazioni (idrogeno, elettrificazione della mobilità) richiederanno tempi anche superiori.

Con questo vogliamo intendere che niente ci potrà aiutare? Assolutamente no. Dobbiamo semplicemente essere pragmatici: la transizione energetica per sua natura non può essere immediata, i sistemi energetici hanno per propria natura tempi lunghi di applicazione. Dobbiamo decidere e agire subito per vedere gli effetti tra un ventennio probabilmente.

Certamente, quella dei tempi non può ritenersi un’obiezione seria al ritorno del nucleare in Italia.

 

 

Questo e molto altro nel nuovo libro di Umberto Minopoli, presidente AIN, nelle librerie e store online dal 26 maggio, disponibile anche su questo link.

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