La vittoria elettorale del democratico Joe Biden, salvo esito positivo dei ricorsi del Presidente uscente Donald Trump, sembra certa e l’ingresso alla Casa Bianca del presidente in pectore solo rimandato. Tuttavia appare altrettanto probabile che la risicata vittoria di Biden non gli consentirà di ottenere il controllo del Senato, che resterebbe quindi a maggioranza repubblicana.

Tale evenienza potrebbe infrangere sul nascere le possibilità della compagine democratica di portare a compimento le parti più ambiziose del programma elettorale, tra le quali figura un deciso impulso alle fonti rinnovabili per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione sottoscritti negli Accordi di Parigi.

Accordi dai quali, con effetto il 4 novembre scorso, gli Stati Uniti hanno formalmente recesso, e la cui riabilitazione quindi richiederebbe l’approvazione del Congresso, tutt’altro che scontata.

In base agli accordi di Parigi gli USA si impegnerebbero a ridurre le emissioni del 26% (rispetto al 2005) entro il 2025, ma ad oggi le hanno ridotte solo del 17%.

Se da un lato alcuni strumenti legislativi che darebbero impulso alla decarbonizzazione, quali la carbon tax e i sussidi alle rinnovabili, sono invisi ai Repubblicani, negli ultimi quattro anni, e ancora prima sotto l’amministrazione Obama, l’energia nucleare e alcuni strumenti legislativi a suo sostegno hanno goduto di supporto politico bipartisan.

Basti ricordare il Nuclear Energy Innovation Capability Act (NEICA, siglato nel 2018) e il Nuclear Energy Innovation and Modernization Act (NEIMA, siglato nel 2019).

O il più recente Nuclear Energy Leadership Act (NELA), approvato come emendamento dal Senato lo scorso luglio e in attesa di approvazione alla Camera.

D’altronde, l’energia nucleare copre il 20% della produzione elettrica americana e circa la metà della produzione low carbon, per cui il mantenimento e l’ammodernamento della flotta esistente nonché lo sviluppo di reattori avanzati sono d’importanza strategica per gli Stati Uniti, che da tempo hanno perso il primato globale nel settore.

Un continuo e determinato supporto al nucleare offrirebbe dunque a Biden la possibilità di far passare politiche bipartisan e, al contempo, raggiungere gli obiettivi climatici prefissi.

Biden aveva già ripudiato il Green New Deal di Alexandra Ocasio Cortez, rappresentante dell’ala democratica più radicale – nota Michael Shellenberger su Forbes – tuttavia ha ancora in mente di spendere 2000 miliardi di dollari in rinnovabili. Il piano, fortemente osteggiato dai repubblicani, incontra scetticismo anche tra i democratici moderati, poiché l’ostilità ai grandi parchi solari ed eolici è fortemente radicata nell’elettorato rurale (prevalentemente repubblicano).

Secondo Madison Czerwinski, fondatrice del gruppo Campaign for a Nuclear Green Deal, Biden dovrebbe perseguire una politica volta ad aumentare il peso del nucleare nel mix elettrico americano al 50% nel 2050. Sarebbe – prosegue Czerwinski – un atto politico unificante che troverebbe il favore dei repubblicani, dei sindacati, e dei giovani democratici attenti al problema climatico.

Se infatti gli elettori repubblicani sono mediamente più favorevoli al nucleare dei democratici (59% contro 41% secondo un sondaggio), i giovani, tendenzialmente elettori democratici, sono i più favorevoli al nucleare.

Il presidente americano in pectore Joe Biden (foto Gage Skidmore/Flickr/Wikimedia)

Il presidente americano in pectore Joe Biden (foto Gage Skidmore/Flickr/Wikimedia)