Nucleare nel mondo: il Belgio

Per la serie “Nucleare nel Mondo” pubblichiamo questo contributo del nostro socio Fabio Nouchy sull’industria nucleare del Belgio. Il Belgio è uno dei pionieri nello sviluppo dell’energia nucleare. Anche se è entrato quasi casualmente nella storia atomica, per via del radio e dell’uranio trovati nelle miniere dell’allora “Congo Belga”, questo piccolo Stato ha poi partecipato nello straordinario sviluppo degli usi pacifici dell’atomo già a partire dagli Anni ’50.  Il Belgio è infatti il terzo paese dell’Europa occidentale, dopo il Regno Unito e la Francia, ad aver ottenuto una reazione nucleare a catena controllata in un reattore. L’11 maggio 1956, la prima reazione a catena controllata è stata ottenuta con il reattore di ricerca BR 1 (Belgian Reactor 1) al Centro degli Studi dell’Energia Nucleare, oggigiorno conosciuto come SCK CEN, che è ancora un fulcro vitale di esperimenti legati alle applicazioni nucleari vicino al villaggio di Mol, nella provincia di Anversa.  Molto presto dopo questo primo successo, il Belgio ha deciso di costruire un reattore di ricerca dedicato ai test sui materiali (il BR 2) e un terzo reattore sperimentale con l’obiettivo di produrre elettricità (BR 3).  Per quest’ultimo l’intenzione originale era di installarlo sul sito dell’Expo 58 a Bruxelles, sito dell’emblematico Atomium, ma il sito del SCK CEN fu poi scelto per ovvie considerazioni pratiche. Con una capacità di 11,2 MWe, il BR3 è stato collegato alla rete già nell’ottobre 1962. Questo primo reattore ad acqua pressurizzata (PWR) in Europa  doveva servire, tra l’altro, a formare il personale delle future centrali di Doel e Tihange. Dal 1963 in poi, fu anche usato per testare il combustibile MOX (Miscela di Ossidi di Uranio e Plutonio) in condizioni reali. Nel 1987 è stato definitivamente spento dopo 11 cicli di funzionamento e fu allora designato come impianto pilota per la ricerca sullo smantellamento dei reattori da parte della Commissione Europea, operazione che è stata completata recentemente. La prima centrale nucleare commerciale costruita dai Belgi in collaborazione con i Francesi si trova nella zona di Givet, a Chooz, sulle rive della Mosa. Questo impianto PWR, con il reattore più potente del mondo all’epoca (242 MWe), ha iniziato a fornire elettricità alla rete nel 1967 ed è stato chiuso definitivamente nel 1991. La centrale di Chooz A ha permesso ai Belgi e ai Francesi di acquisire know-how ed esperienza sia nella fabbricazione di attrezzature per i futuri impianti nucleari che nella gestione di una centrale.  Dopo la messa in funzione di Chooz A, i Belgi hanno deciso di lanciare il loro programma di energia nucleare. Sono stati scelti due siti: Doel sulla riva sinistra della Schelda, a valle di Anversa, e la zona industriale di Tihange sulla riva destra della Mosa, a monte di Liegi.  I primi reattori sono stati messi in funzione a livello industriale nel 1975 (Doel 1, Doel 2 e Tihange 1). Tra il 1982 e il 1985, a queste tre unità si sono aggiunte Doel 3, Tihange 2, Doel 4 e Tihange 3. All’epoca della messa in funzione dei primi reattori, tre quarti della produzione di elettricità del Belgio erano generati dal carbone, mentre negli anni ’80 la quota nucleare è passata in media intorno al 66%.  Ora, nel 2021, l’elettricità prodotta da fissione atomica rimane attorno al 50% del fabbisogno di elettricità, ponendo il Belgio tra i paesi europei con le più basse emissioni di gas a effetto serra, accompagnato dall’aumento dell’eolico offshore. Un cambiamento importante è però incombente, siccome la legge del 31/01/2003 prevede una chiusura di tutte le centrali alla fine del loro limite legale, fissando di fatto una data di chiusura a 40 anni dalle prime operazioni. A causa di mancanza di alternative di approvvigionamento elettrico, si è già derogato ben due volte a questa legge (nel 2013 e 2015), portando la vita legale dei reattori di Tihange 1 e di Doel 1 e Doel 2 a 50 anni di operazioni.  L’attuale accordo di governo prevede però di prendere in considerazione ciecamente la chiusura prevista dalla legge del 2003. Tale applicazione comporterebbe una chiusura di tutti e 7 i reattori belgi tra il 1° ottobre 2022 e il 1° dicembre 2025 e il dibattito su come rimpiazzare la loro capacità di 6 GW è molto acceso. Oltre a una dose massiccia di importazioni, la speranza di poter garantire la stabilità energetica riposa su nuove costruzioni di centrali a gas, l’opzione più flessibile sul mercato per poter compensare le fluttuazioni delle energie rinnovabili a intermittenza (eolico e solare). Ma la storia del nucleare in Belgio è ben più estesa della produzione di elettricità, e quando si parla di medicina nucleare, raggiunge una dimensione di eccellenza. Tornando al BR2, il reattore ad alto flusso neutronico che è stato commissionato nel 1961, oltre alla ricerca sul comportamento dei materiali e dei combustibili sotto irradiazione, è anche usato per produrre radioisotopi a fini medici e industriali, rifornendone tra il 20 e il 25% del fabbisogno mondiale. Un’ultima applicazione per la quale il BR2 sarà presto utilizzato è la produzione di Plutonio-238 per alimentare i generatori termoelettrici a radioisotopi per le missioni di esplorazione spaziale. Gran parte dei radioisotopi per scopi medici prodotti al BR2 sono poi ripresi dall’l’Istituto nazionale dei RadioElementi (IRE), sul sito di Fleurus, che dagli anni ‘70 ha cominciato la produzione di Molibdeno-99 per fini diagnostici e Iodio-131 a fini terapeutici. Oggi l’IRE gode di una reputazione di leader internazionale nel campo, mentre sviluppa nuove tecniche e radioisotopi, come il Gallio-68 e il Lutezio-177.  Un’altra azienda belga, la Ion-Beam Applications (IBA) situata a Louvain-La-Neuve, è diventata la leader mondiale nella produzione di ciclotroni, ossia acceleratori di ioni più compatti e precisi per poter creare dei fasci ben controllati. L’applicazione maggiormente degna di nota è quella del trattamento dei tumori, dove i ciclotroni possono portare benefici rispetto ad altre tecniche grazie alla loro maggiore precisione, che comporta un minore danno alle cellule sane circostanti al tumore. Guardando ancora oltre verso il futuro, il progetto MYRRHA del SCK CEN, ossia il “reattore di ricerca versatile per applicazioni ad alta…

Cosa mai il nucleare ha fatto per me?

Continuiamo la serie di approfondimenti sugli usi della scienza e tecnologia nucleare. Mentre nell’immaginario comune la parola nucleare richiama quasi esclusivamente l’uso energetico o, nei casi peggiori, bellico di questa tecnologia, essa trova in realtà impiego nei settori più disparati. In questo articolo scopriremo i molteplici usi della tecnologia nucleare nel campo della prevenzione e diagnosi medica. Le tecnologie nucleari ricoprono un ruolo di primo piano nella prevenzione, diagnosi e cura di un ampio spettro di patologie, in particolare tumori e malattie cardiovascolari, ma anche – cosa forse meno nota – nel contrasto alla malnutrizione e al diffondersi di malattie infettive. In questo primo articolo parliamo di prevenzione e diagnosi, che sono in molti casi intimamente connesse. Abbiamo di recente scritto di come la Sterile Insect Technique (SIT) possa essere applicata, oltre al controllo dei parassiti delle coltivazioni, anche alla riduzione delle popolazioni di zanzare, vettore di pericolose patologie quali Zika, Dengue, febbre gialla e malaria. La reazione a catena della polimerasi inversa (RT-PCR), anch’essa tecnica di derivazione nucleare, è utilizzata in questo periodo per l’individuazione nell’organismo del virus Sars-CoV-2 ed è in generale applicabile all’individuazione di virus sia negli animali che nell’uomo, fornendo un importantissimo strumento di contrasto precoce alla diffusione di epidemie. Nel campo della nutrizione, isotopi stabili possono essere ad esempio utilizzati per determinare il corretto apporto di latte materno nei primi due anni di vita del bambino, il grado di assorbimento di micronutrienti e vitamine, nonché per fornire una misura quantitativa del rapporto tra massa magra e massa grassa. In quest’ultimo caso si utilizza acqua arricchita di deuterio (2H2O) o ossigeno-18 (H218O) che, dopo alcune ore di circolazione nell’organismo e il prelievo di un campione di urina o saliva, permette di stimare il contenuto in acqua dell’organismo e, di conseguenza, il bilancio tra massa magra e massa grassa. Similmente i due isotopi sopra citati, grazie alla loro proprietà di abbandonare l’organismo in modi diversi (il deuterio solo attraverso l’eliminazione di fluidi mentre l’ossigeno-18 anche attraverso la respirazione), possono essere usati per determinare il dispendio di energia dell’organismo e dunque il fabbisogno calorico. La produzione di immagini in campo diagnostico si avvale largamente di tecniche nucleari quali, per citarne alcune, radiografia, fluoroscopia, emissione di positroni (PET) e fotoni (SPECT), tomografia computerizzata e scintigrafia. Alcune di queste tecniche si basano su sorgenti esterne (es. Cobalto-60 o fotoni emessi da un acceleratore), mentre altre, come la PET, si basano sull’uso di radiofarmaci quali sorgenti interne. I radiofarmaci sono costituiti da un radioisotopo (es tecnezio-99m) legato ad una molecola con specifica affinità verso l’organo che si vuole analizzare. Tramite l’uso di una gamma camera sensibile alle emissioni del radionuclide è possibile monitorare in modo non invasivo le funzionalità di specifici organi o tessuti. La combinazione di queste tecniche, ovvero la loro distinta capacità di fornire un’immagine anatomica e una funzionale degli organi e tessuti in esame, ha rivoluzionato l’uso delle immagini diagnostiche rendendolo molto più efficace, addirittura in grado di decifrare ciò che avviene nell’organismo a livello molecolare. Infine menzioniamo la radiologia interventistica, ovvero una pratica che in molti casi va ad affiancarsi o a sostituirsi agli interventi chirurgici veri e propri, consentendo una riduzione dei rischi, dei tempi di ricovero e dei tempi di recupero. Radiologia e medicina nucleare costituiscono un formidabile strumento di diagnosi precoce e di contrasto per patologie con elevata mortalità quali il cancro, il diabete, malattie respiratorie croniche e patologie cardiovascolari. Grazie ad un’adeguata calibrazione della dose radiologica a cui il paziente è esposto, molto spesso paragonabile o di poco superiore al fondo naturale, queste tecniche possono essere impiegate anche in età pediatrica. Nel prossimo articolo della serie parleremo degli usi della tecnologia per il trattamento delle patologie. Per ulteriore approfondimento: https://www.iaea.org/topics/health https://www.iaea.org/newscenter/news/isotope-tool-to-help-fight-childhood-obesity-now-in-use-in-southern-and-eastern-europe