Settembre quest’anno è la stagione delle manifestazioni pro-nucleare. Oltre 40 città sparse per il mondo aderiscono all’evento Stand Up for Nuclear, indetto per il secondo anno consecutivo dalla Nuclear Pride Coalition. In Italia – ben rappresentata nella compagine internazionale – gli “avvocati” del nucleare scenderanno in piazza il 27 settembre a Torino, Milano, Trento, Trieste, Roma e Palermo. Ad aprire le danze sono state – tra il 5 e il 7 settembre scorsi – Seattle (USA), Brokdorf (Germania), Helsinki (Finlandia) e il Messico (con un evento online causa COVID-19).
L’evento di quest’anno assume ancor maggiore importanza – come nota Michael Shellenberger nel suo ultimo contributo su Forbes – dal momento che la maggiore loquacità dei sostenitori dell’energia nucleare coincide con un rallentamento ed un calo di popolarità delle rinnovabili intermittenti, anche in Paesi a vocazione rinnovabile apparentemente inossidabile come la Germania. Tale contesto favorisce quindi un dibattito più aperto e una maggiore attenzione dei media e, in definitiva, della politica, alle potenzialità del nucleare.
Infatti, da un lato, il tasso di crescita delle rinnovabili – anche in Germania – stenta a tenere il passo con la tabella di marcia della decarbonizzazione, stretto tra oppositori della deturpazione del paesaggio, lentezza di adeguamento della rete, calo dei prezzi del mercato elettrico che mettono a rischio il rinnovamento di parchi eolici già obsoleti e i black-out che rischiano di rappresentare il rovescio della medaglia di una rete con troppo sole e vento. Dall’altro il confronto di prezzo e emissioni del kWh tra la Francia nucleare e la Germania rinnovabile, oltre ad altri esempi virtuosi di reti con un forte contributo nucleare come la Svezia e l’Ontario, fanno sollevare più di un dubbio sulla praticabilità della politica energetica che punta al 100% rinnovabili.
Tanto da accendere il dibattito sull’opportunità di tornare indietro sulle proprie decisioni e, perlomeno, salvare ove possibile ciò che resta della flotta nucleare (come le sei centrali tedesche ancora in funzione e Diablo Canyon in California).
Nuklearia – un’organizzazione no profit tedesca aderente alla Nuclear Pride Coalition – ha avvertito un clima talmente favorevole da pubblicizzare l’opzione nucleare alla decarbonizzazione proprio di fronte al quartier generale di Greenpeace, in Germania. Reiner Klute – il suo presidente e fondatore – ha affermato che il nucleare è ancora impopolare tra i tedeschi, ma che con l’uscita di Angela Merkel dalla cancelleria le cose potrebbero cambiare.
Anche perché l’attuale politica energetica tedesca rischia di rendere il Paese sempre più succube della Russia per quanto riguarda le importazioni di gas.
Lo spazio concesso negli ultimi mesi dai media tedeschi a Klute e colleghi, come ad altri promotori del nucleare, sembra avvalorare la tesi del cambio di mentalità.
Anche in Belgio l’uscita dal nucleare nel 2025 non è più data per scontata da tutte le parti politiche, mentre l’affacciarsi sulla scena di nuovi reattori avanzati e soprattutto dei reattori modulari (SMR), tramite la promessa di costi ridotti, maggior sicurezza e maggiore integrabilità in rete con le rinnovabili, risvegliano gli appetiti nucleari di molti altri Paesi, tra i quali vorremmo seriamente annoverare anche il nostro.
Intanto il Regno Unito (fuori dall’Unione Europea) e la Polonia (che mal la sopporta) puntano decisamente sulla strada della decarbonizzazione per mezzo del nucleare: quest’ultima ha addirittura annunciato di accelerare la riduzione della produzione di elettricità da carbone anche rispetto ai piani iniziali, contando di comprimerla a 35-56% in soli dieci anni (oggi è oltre il 60%).
Se l’Unione Europea sembra invischiata in un dibattito infinito ed inconcludente sulla sostenibilità o meno del nucleare, per molti cittadini europei la sostenibilità del nucleare è fuor di dubbio, e scendono in piazza per spiegarlo agli altri.
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