Questa la visione di Matthew Dalton del Wall Street Journal nell’ultimo pezzo sull’energia nucleare.
La costruzione di nuovi reattori venne molto rallentata dagli incidenti del 1979 di Three Mile Island (Pennsylvania), da Chernobyl del 1986 e da una generica avversione allo smaltimento dei rifiuti radioattivi da impianti.
La situazione peggiorò ancora nel 2011 con Fukushima: esempi sono la Germania con la decisione del phase-out o l’inasprimento della regolamentazione da parte degli USA.
Oggi vediamo finalmente una rinascita del nucleare, la consapevolezza della sua importanza nel fornire energia pulita, sicura ed affidabile. Alcune nazioni come UK, Polonia, Repubblica Ceca e Olanda hanno intenzione di costruire nuove centrali. Ma siamo pronti a far ripartire la nostra capacità costruttiva?
Le nazioni che sono state pioniere dell’era atomica soffrono ora di una mancanza di manager ed operai qualificati con esperienza nella costruzione, portando a ritardi e aumenti di costo.
Dalton cita come esempi i problemi di saldature a Flamanville, o i reattori in costruzione di Georgia Power, tra le prime nuove unità dopo trent’anni di fermo.
Will Salters, un sindacalista impiegato presso l’impianto di Vogtle ha dichiarato: “Abbiamo dovuto addestrare i saldatori e molte altre mansioni affinché diventassero lavoratori nucleari, quasi non ce ne sono più nel Paese. Tutti quelli che avevamo sono in pensione o deceduti.”
Sarà davvero necessario uno sforzo del mondo occidentale per riportare a pieno regime le catene di approvvigionamento di materiali e personale di alta qualità per le applicazioni nucleari?
Immagine di copertina: Sarah Meyssonnier / Reuters