Ripubblichiamo questo contributo del presidente di Associazione Italiana Nucleare, Umberto Minopoli, originariamente apparso sulla rubrica Green&Blue di Repubblica del 14 luglio 2021.

E’ davvero lontana la fusione nucleare? La “prova elettrica”, l’allaccio alla rete del primo impianto è prevista tra il 2040 e il 2050. Non è affatto futuribile. Anzi: è una data chiave. In quel decennio, ricordiamolo, si vorrebbe traguardare la decarbonizzazione dell’economia. Sarebbe tutt’altra prospettiva poter contare, a quelle date, sulla dimostrabilità elettrica di una nuova fonte di energia: pulita, priva di scorie, sicura, a buon mercato e, pressoché illimitata. Quasi un graal. Nel 2025, l’impianto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor), nella Provenza francese, inizierà il suo esperimento. Dovrà verificare, nella sostanza, che spendendo 50 MW di energia si abbia un guadagno (stabile) di 500 MW. Quindi che una centrale elettrica che usi questo guadagno è fattibile.

Ma Iter non è più il solo esperimento di fusione in costruzione. La canadese General Fusion e l’inglese UKAEA hanno annunciato la costruzione, entro il 2035, di un impianto in Gran Bretagna, non solo sperimentale come Iter, ma già dimostrativo, cioè allacciato alla rete. Questo accelera i tempi. Anche perché, a differenza di Iter, nell’impianto inglese entra il capitale privato: la tecnologia del “sole nella bottiglia” diventa sfida di mercato. Ci si investe. E non si trascurino le ricadute tecnologiche della fusione che sono già realtà: vedi l’intesa tra l’italiana ASG (fornitrice dei magneti del reattore di Iter) e l’università giapponese di Chubu per lo sfruttamento della superconduttività nelle reti elettriche di trasmissione.

Grazie a Iter e all’annuncio inglese, l’Europa diventa, alla scadenza del decennio della decarbonizzazione (2020/2030) il luogo di elezione della tecnologia energetica, la fusione nucleare, della seconda parte del secolo. Non impressioni il tempo. L’effettivo funzionamento di un reattore di fusione può essere provato solo in un impianto a scala di centrale. Per questo la fase sperimentale di Iter non può essere saltata. È alle dimensioni di scala che vanno verificate le scommesse ingegneristiche del reattore di fusione: stabilità del plasma (produzione di potenza termica aggiuntiva per almeno 60 minuti; effettivo guadagno di energia (fattore Q) nella reazione; tenuta dei materiali alle importanti potenze termiche del reattore. L’Italia avrà una funzione strategica. A Frascati si localizzerà il DTT (Divertor Tokamak Test) una versione gemella dell’impianto ITER (600 milioni di investimenti e 1500 occupati). Servirà a verificare il componente chiave del reattore tokamak (acronimo russo che sta per camera toroidale magnetica): il divertore, la parte del reattore su cui verranno deviati e scaricati i maggiori carichi termici del plasma, il gas di nuclei leggeri (isotopi di idrogeno) che alimenterà la fusione e la produzione di energia. Il DDT di Frascati verificherà i materiali migliori per sopportare le forti potenze termiche della reazione di fusione. Agli impianti sperimentali di Cadarache e di Frascati, si affiancherà, nel decennio prossimo, la costruzione dei primi due dimostratori: il DEMO del consorzio europeo Eurofusion e quello annunciato dalla cordata anglo canadese. A questi impianti spetterà tradurre le prove fisiche della fusione in prova elettrica: conversione della potenza termica in elettricità.

L’Europa, dunque, centro privilegiato della fattibilità della fusione nucleare. È il premio per una scelta tecnologica, fatta decenni fa, che si è rivelata vincente. Il fondamento fisico della fusione nucleare è unico: replicare in reattori artificiali la reazione energetica che alimenta le stelle (sun in a bottle). In essa, due o più nuclei leggeri di idrogeno, in moto in un gas rarefatto (plasma) – alimentato da campi elettrici e contenuto da campi magnetici – vengono forzati (attraverso temperature altissime del plasma) ad unirsi, formando un nuovo elemento chimico (elio) e rilasciando (reazione esotermica) una grande quantità di energia, convertibile in elettricità. Il mondo ha perseguito strade diverse, nei laboratori, per replicare, in forma sicura e controllata, la reazione solare. Oggi siamo, finalmente, agli esiti di tale ricerca: il concepimento di macchine dimostrative, a scala di centrale, che in condizioni di assoluta sicurezza e stabilità, possono generare energia utile. La tecnologia della fusione, ristretta all’inizio ad un gruppo di Paesi (America, Russia, Italia, Gran Bretagna, Germania) è oggi, come la tecnologia spaziale, perseguita da un club assai vasto di Paesi industrializzati. Oltre 35.

Le macchine di fusione perseguite sono, fondamentalmente, raggruppate in due tecnologie: quella del tokamak in Europa (estrazione di energia da un plasma caldissimo in rotazione), quella del confinamento inerziale (raggi di luce laser riscaldano sferette di nuclei di idrogeno fondendole) negli USA. La scelta tecnologica europea si va rivelando più vicina alla praticabilità energetica.