Nell’epoca dei social è opportuno che coloro che conoscono in modo approfondito materie che sfuggono ai più ne parlino al grande pubblico evitando di proporre semplificazioni troppo ardite o tesi difficilmente condivisibili. Sfortunatamente, il video del Prof. Rovelli apparso recentemente in merito ad Enrico Fermi e alle vicende scientifiche e politiche legate alla bomba atomica sembra voler deliberatamente distruggere, in poco più di sei minuti, un vero mito della fisica, su cui sono stati scritti libri interi, anche in italiano e facilmente comprensibili da tutti, che invito a leggere attentamente (https://www.sif.it/libri/catalogo/conoscere_fermi, https://www.pubblicazioni.enea.it/le-pubblicazioni-enea/edizioni-enea/anni-fino-al-2005/enrico-fermi-significato-di-una-scoperta.html , https://en.wikipedia.org/wiki/The_Making_of_the_Atomic_Bomb ). In Italia, abbiamo una quantità di istituti scolastici superiori intitolati ad Enrico Fermi e sarebbe un peccato dover riconoscere che ci siamo tutti sbagliati per decenni nel giudizio positivo che abbiamo dato di lui come scienziato e come figura storica rilevante.
Premetto di non essere uno storico di Fermi o della scienza, ma un docente universitario di Impianti Nucleari in servizio attivo che, per mestiere e per passione, è informato sulle vicende alla radice delle discipline che studia ed insegna. La mia non è una ricostruzione storica distillata per giungere ad un assunto specifico opposto a quello proposto da Rovelli, ma una modesta puntualizzazione che ha il solo scopo di tentare di proporre alcuni aspetti della questione in maniera un po’ più equilibrata.
Procedo per punti.
- Come è ben noto, nel 1938 Enrico Fermi ricevette il premio Nobel letteralmente per “l’identificazione di nuovi elementi della radioattività e la scoperta delle reazioni nucleari mediante neutroni lenti”. Che la radioattività riscontrata negli esperimenti di Fermi e collaboratori fosse dovuta principalmente ad elementi transuranici poteva essere al massimo un’ipotesi momentanea del gruppo di Fermi, forse ritenuta possibile, ma certamente non considerata una certezza da uno spirito critico come il suo, non essendoci prove sperimentali a supporto. Peraltro, con la reazione di fissione si produce una varietà cospicua di elementi radioattivi, accompagnati da transuranici ottenuti dalla contemporanea cattura di neutroni da parte dell’U-238 che avviene in competizione con la fissione, sebbene questi transuranici non possano affatto essere identificabili con i fantomatici Esperio e Ausonio. Letteralmente, pertanto, la motivazione del Nobel non può dirsi completamente sbagliata, anche se sappiamo tutti bene che faceva riferimento a conoscenze provvisorie e non confermate dell’epoca che sono risultate superate poco dopo, grazie alla vasta ricerca internazionale a cui ha contribuito anche Fermi in maniera determinante. Comunque sia, è la scoperta dell’efficacia dei neutroni lenti (“termici”, come diciamo noi ingegneri nucleari) ad essere più che bastante a giustificare il Nobel assegnato a Fermi. Fu questa scoperta che permise in seguito l’utilizzo della fissione nei reattori nucleari, come la Chicago Pile 1 (CP1) capostipite delle centrali nucleari moderne e che entrò in funzione solo quattro anni dopo (2 dicembre 1942). Suggerire un Fermi completamente illuso da una scoperta inesistente appare una forzatura; credo sia più realistico pensare che, in un periodo in cui si cercavano nuove forme di radioattività indotta (gli Joliot-Curie furono i primi a farlo), i ragazzi di Via Panisperna, sotto la guida di Fermi, abbiano inizialmente pensato alla creazione di elementi transuranici radioattivi dovuti all’assorbimento di neutroni. Non si può comunque tentare di sminuire la statura di Fermi presentandolo come uno che ha ricevuto il Nobel per motivi sbagliati, perché la scoperta dei neutroni termici è di gran lunga una delle più importanti dell’epoca per i suoi risvolti pratici e per l’opportunità che diede ai fisici di spiegare il perché dell’efficacia della fissione a basse energie dei neutroni. È peraltro affascinante ricordare la curiosa vicenda degli esprimenti eseguiti in Via Panisperna su tavoli di marmo e tavoli di legno, che davano risultati diversi pur essendo condotti con le stesse procedure e materiali, i quali indussero Fermi a fare esperimenti che coinvolgessero esplicitamente la presenza di composti idrogenati, come la paraffina, che si mostrarono efficacissimi nel “moderare” i neutroni (un esempio di “serendipity”). L’acqua leggera dei reattori nucleari odierni è usata proprio per fare questo utile servizio, permettendo la generazione di elettricità con uno dei più bassi tenori di CO2 per kWh: questo accade grazie agli esperimenti che condussero al Nobel assegnato a Fermi.
- Più che la Noddack che, al tempo, non aveva alcun supporto sperimentale per la sua ipotesi che la radioattività artificiale ottenuta dal bombardamento dell’Uranio fosse dovuta alla fissione, fu un’altra scienziata, Lise Meitner, che nell’inverno del 1938, dopo l’esperimento di Hahn e Strassmann, intuì la natura di “extensive burst” della reazione a cui andava incontro il nucleo di quel pesantissimo elemento. I due colleghi tedeschi con cui aveva collaborato a lungo e che si presero il merito della scoperta avevano infatti trovato bario (un elemento leggero) nelle loro soluzioni radiochimiche e questo non era completamente compatibile con la sola creazione di transuranici per cattura neutronica. Si narra infatti che, mentre passava le vacanze di Natale nel villaggio di Kungälv in Svezia, fuggita in quel luogo dalla Germania per le sue ascendenze ebraiche, la Meitner ne discusse con il nipote Otto Frisch, il quale successivamente comunicò questa sua diagnosi a livello mondiale, rendendola un fatto assodato e noto a tutti. Fu una vera iattura che la fissione venisse scoperta poco prima della Seconda Guerra Mondiale: in quel momento, infatti, tutti gli scienziati seppero che esisteva una nuova forma di energia, decisamente molto più potente delle altre conosciute all’epoca e che avrebbe potuto essere usata per scopi pacifici o offensivi; in quel periodo queste seconde applicazioni erano ovviamente le più preoccupanti. Lise Meitner era stata oggetto di pesanti discriminazioni di genere presso il laboratorio di Dahlem vicino a Berlino, dove lavorava con Hahn, e la sua esclusione dal Nobel per la fissione è ancora oggi considerata molto ingenerosa. La “narrazione” (come si dice oggi) di Rovelli omette questa storia universalmente nota e ben più rilevante ed affascinante dell’ipotesi, certamente geniale ma non supportata da dati, fornita dalla Noddack e che venne rifiutata perché ritenuta improbabile sulla base di genuine conoscenze dell’epoca.
- Circa il rapporto tra Fermi e il fascismo, non mi pare che si possa sostenere che Enrico Fermi possa aver avuto una relazione troppo entusiastica con l’apparato, come testimoniato dalla sua fuga negli Stati Uniti dopo aver ritirato il Nobel nel 1938, sebbene chiunque continuasse ad operare a livello universitario in Italia in quel periodo dovesse avere a che fare con l’unico sistema politico esistente. Come è noto, in questa scelta di fuggire ebbe un ruolo fondamentale il fatto che la moglie di Fermi, Laura Capon, avesse ascendenze ebraiche. Questa vicenda come quella della Meitner e di molti altri fisici europei mostra che l’introduzione delle leggi razziali fu certamente, oltreché un orrore italiano di cui portiamo il peso come popolo, anche un autogol del nazifascismo in generale, che determinò la fuga negli Stati Uniti di gran parte delle risorse umane della nascente fisica nucleare; questa scelta si sarebbe presto ritorta contro i regimi che l’avevano adottata. È inoltre necessario ricordare che nelle biografie di Fermi si riporta che fosse essenzialmente concentrato sull’attività scientifica, lasciando ad altri le cariche istituzionali, quando non le sentisse come uno specifico e ineludibile dovere. Fare ricostruzioni contrarie mi pare azzardato.
- Il tema della collaborazione dei fisici con le applicazioni belliche va inoltre affrontato con maggiore prudenza. Come detto, all’epoca il dilemma fu chiaro a tutti, poiché in Europa c’era un dittatore spietato che mirava ad una supremazia imperialista sull’intero continente e ben oltre. La scoperta della fissione dava corpo alle più nefaste ipotesi riguardo a potenziali armi definitive nelle sue mani: la produzione di acqua pesante e i tentativi di creare un’arma nucleare da parte dei tedeschi, che si rivelarono infruttuosi solo alla fine della guerra, non potevano far dormire sogni tranquilli neppure ai pacifisti più utopisti. Il gruppo di scienziati emigrato in America fu certamente posto di fronte ad un problema non facile da risolvere: non collaborare al progetto Manhattan, ovvero disconoscere la raccomandazione che Einstein e Szilard avevano inoltrato al presidente Roosevelt di intraprendere un proprio programma nucleare per evitare che i tedeschi arrivassero per primi, avrebbe configurato la rinuncia a mettere a servizio delle democrazie le proprie conoscenze in un momento cruciale per la guerra contro l’orrore nazista. Credo che questo problema lacerante non possa essere semplificato più del dovuto: è l’antico dilemma dell’opporsi alla forza della brutale aggressione con una deterrenza che possa dissuadere il tiranno dal procedere oltre. Chi si sente di scagliare la prima pietra lo faccia: personalmente ringrazio Dio di aver vissuto in Europa in un pacifico dopoguerra che non mi ha costretto a prendere decisioni del genere, avendo potuto mantenermi lontano dalle applicazioni belliche in tutta la mia vita scientifica. Pur essendo impegnati a costruire la pace giorno per giorno laddove possiamo arrivare a farlo, dovremmo comprendere la difficoltà di quel momento e di quelle decisioni, evitando di giudicare troppo aspramente con il senno di poi: come sappiamo, questo tema è di straziante attualità. Peraltro, considerando la decisione di lanciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, che non mi pare possa essere ascritta a Fermi, noto che in quei tempi di contrapposizione brutale distruggere un’intera città con bombe incendiarie era pratica comune (ci sono gli esempi di Dresda, Amburgo, Tokyo con centinaia di migliaia di morti civili): il lancio delle bombe atomiche si inserì quasi naturalmente nella scia di quelle pratiche di una guerra diventata ormai orribile e sanguinaria, costituendo una terribile novità tecnica cosi esecrata da non essere stata ad oggi ripetuta. Questo ha però ben poco a che fare con Fermi e molto di più con la natura della guerra.
In sintesi, mi pare che le critiche ferragostane di Rovelli alla figura di Enrico Fermi siano alquanto ingenerose e un po’ tendenziose per il quadro complessivo che ci viene fornito. Le sue scoperte e le sue teorie, a fondamento sia della fisica nucleare (vogliamo ricordare solo la teoria del decadimento beta come esempio rilevante) che della fisica dei reattori nucleari, hanno cambiato la scienza e il mondo. In campo scientifico non ci sono idoli o supereroi, ma si è tutti impegnati a trarre il massimo beneficio dalle idee proposte nel passato per lo sviluppo pacifico della tecnologia a favore dell’umanità. Credo che in questo processo non si possano disconoscere l’unicità e l’importanza del contributo di Enrico Fermi che, non a caso, è stato salutato da Arthur Compton, un altro fisico illustre dell’epoca, come “il navigatore italiano sbarcato nel nuovo mondo”.
Sta a noi e alle nostre scelte fare di questo nuovo mondo una casa accogliente per tutti, anche sulla base dei contributi alle conoscenze scientifiche prodotti da chi ci ha preceduto. Sono certo che le nostre considerazioni accaldate di oggi, stimolate da un revisionismo che non riesco a comprendere bene nelle sue motivazioni, debbano lasciare il posto ad un serio impegno per la soluzione dei problemi scientifici, tecnici e politici che stiamo attualmente fronteggiando. Nei miei interventi, faccio spesso riferimento all’Ode all’Atomo di Pablo Neruda (https://www.daneel59.altervista.org/neruda-atomo.htm ) per il suo messaggio relativo all’energia nucleare come speranza del futuro: è indubitabile che questo futuro sia stato reso possibile principalmente dagli studi di Enrico Fermi.
Walter Ambrosini
Ordinario di Impianti Nucleari presso l’Università di Pisa