Pubblichiamo una lettera aperta del prof. Renato Angelo Ricci, Presidente Onorario della Società Italiana di Fisica, e Umberto Minopoli, Presidente di Associazione Italiana Nucleare, in merito all’opportunità rappresentata dalla costruzione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi. La lettera è stata ripresa da diversi organi di stampa, quali i quotidiani la Repubblica e La Stampa.
L’attività nucleare, lo sfruttamento a fini utili della radioattività di alcuni elementi atomici, è un perfetto esempio di “economia circolare” sia nei suoi usi energetici (centrali nucleari), sia in quelli sanitari (diagnosi e cura), industriali e di ricerca, che stanno assumendo un peso crescente nelle società avanzate. Lo sfruttamento utile delle proprietà radioattive di alcuni isotopi (non solo l’uranio) prevede, infatti, la chiusura perfetta del ciclo di impiego dell’elemento: sfruttamento come combustibile, riutilizzo e ricircolo del residuo ancora sfruttabile, trattamento per ridurre i volumi del residuo, decontaminazione delle parti che possono essere rilasciate in sicurezza, sistemazione dei residui non rilasciabili e non più utilizzabili che figurano a questo punto come “rifiuto finale” (scoria), che deve essere stoccato in sicurezza. In linguaggio nucleare, significa: garantire la totale separazione e assenza di impatto tra la radioattività residua (si chiama attività) dei rifiuti e le cose, le persone e l’ambiente.
Questa separazione avviene confinando il rifiuto entro “barriere” impermeabili: ben 5 (metallica, calcestruzzo, ingegneristica, cella di deposito, sigillo artificiale, collina di copertura) per i rifiuti a più bassa attività, che sono la gran parte. Queste barriere (deposito di superfice) sono progettate e costruite per garantire da ogni infiltrazione o rilascio (fosse pure solo teorico) per 350 anni. E’ il tempo sufficiente perché la radioattività si esaurisca del tutto. Per quella parte di rifiuto (volumi molto ridotti) che decade (perde radioattività) in un numero maggiore di anni, si utilizza il confinamento geologico (barriera naturale), entro formazioni che garantiscono l’impermeabilità per migliaia di anni.
La cosa che pochi sanno, data la prevenuta e distorta informazione – specie in Italia – sulle attività nucleari, è che queste tecniche di “deposito” e sistemazione dei rifiuti sono, ormai, soluzioni consolidate, standardizzate, praticate da tempo, e senza alcuna evidenza di rischio, nella totalità dei Paesi che praticano l’attività nucleare civile. Nel mondo, i depositi nucleari (di superfice o di profondità) sono ormai centinaia.
In Europa i depositi sono più di 30. Moltissimi Paesi europei ne hanno più di uno (anche due o tre). In alcuni Paesi l’investimento del deposito è diventato, per la comunità che lo accoglie, un potente fattore propulsivo di sviluppo economico, occupazionale, tecnologico e, perfino, turistico. Il pregiudizio antinucleare trascura un punto chiave: gli utilizzi energetici della radioattività non sono, ormai, quelli esclusivi.
Prendiamo l’Italia: chi avrebbe scommesso sul fatto che oltre il 40% dei 96.000 metri cubi di rifiuti nucleari, da sistemare nel futuro deposito nazionale, provengono dagli utilizzi sanitari (diagnostica, terapie oncologiche, produzione di farmaci), la gran parte, e di altra natura. Le tecnologie nucleari e lo sfruttamento delle proprietà degli isotopi radioattivi hanno un ruolo crescente, sempre più pervasivo nelle società avanzate. Il confinamento del rifiuto, per impedirne ogni tipo di contatto con la biosfera, è la peculiarità dell’attività nucleare civile, che la differenzia da ogni altro tipo di industria o di attività che emette inquinanti chimici (spesso veleni che si fissano nell’ambiente) e che non “chiude” il ciclo del rifiuto prodotto con la cattura e l’isolamento del rifiuto. Come fa, invece, in modo pressoché unico, l’attività nucleare.
Invitiamo, infine, politici, amministratori e autorità locali ad una minore miopia sulle opportunità del “deposito nucleare”. Se si analizza la legge istitutiva, si capisce che, oltre alle informazioni sui requisiti di sicurezza, sui vantaggi competitivi per i territori, sugli incentivi, c’è un altro fattore che dovrebbe allettare un amministratore intelligente: la consultazione e la verifica di fattibilità della localizzazione, anche al di là del suo esito finale, consente ad un’area territoriale, comune o regione una indagine dettagliata, una fotografia aggiornata della realtà del suo ambiente, del sottosuolo, delle orografia, dell’incidenza dei fattori naturali o antropici. Una grande opportunità.