Appena tre anni fa la maggioranza dei Belgi intervistati condivideva la strategia del governo di chiudere le centrali nucleari.

Invece, secondo un recentissimo sondaggio RTL Info – Ipsos – Le Soir, ora il 47% degli intervistati è contrario alla chiusura, mentre solo il 27% è favorevole.

La contrarietà alla chiusura è maggiore nel nord e sud del Paese (nelle Fiandre supera il 50%) mentre è inferiore nella capitale (31%). Da notare che oltre un quarto degli intervistati non ha un’opinione in proposito, lasciando quindi ampio margine ad ulteriori evoluzioni nell’opinione pubblica.

Sempre dal sondaggio si evince che la contrarietà alla chiusura è ben motivata da molteplici ragioni, quali il timore di un aumento dei prezzi dell’elettricità, delle emissioni, della dipendenza energetica dall’estero e, non ultima, la perdita di molti posti di lavoro qualificati.

Nei mesi scorsi si sono susseguite le proteste dei sindacati e dei lavoratori delle centrali di Doel e Tihange, la cui chiusura porterebbe alla perdita di 7000 posti di lavoro. Inoltre, se il piano di chiusura al 2025 fosse confermato, l’emorragia preventiva di tecnici qualificati potrebbe mettere in discussione l’operatività della centrale nel prossimo biennio, nonché la disponibilità del personale qualificato necessario alla fase di controllo e manutenzione successiva allo spegnimento.

Lavoratori in protesta presso le centrali nucleari belghe (foto www.vrt.be)

La strategia è ovviamente osteggiata da Electrabel, la sussidiaria di Engie che opera le centrali elettriche in Belgio, alla quale il Parlamento, appena nel 2015, aveva dato il via libera all’estensione dell’operatività di due reattori del Paese oltre il 2025.

Ma l’uscita dal nucleare è un’opzione criticata anche dalle maggiori associazioni economiche e persino da un rapporto di PwC Enterprise Advisory, che sottolineano come il phase-out dall’atomo sarebbe per l’economia belga un salto nel buio.

A livello internazionale, la battaglia sul nucleare belga sta diventando una battaglia di bandiera, con crescenti iniziative di sensibilizzazione e proteste già programmate per la prossima primavera. La percezione è, infatti, che la strategia del governo sia un favore alla Germania e alla sua volontà di imporre all’Europa la propria visione di transizione energetica, basata esclusivamente (si fa per dire, dato il consumo di carbone e gas naturale) sulle rinnovabili.

Berlino d’altronde non ha mai fatto mistero di vedere di buon occhio la rinuncia all’atomo del piccolo vicino, ricorrendo anche a mezzi a dir poco eterodossi, come il tentativo di interferire con il riavvio dei reattori Tihange 2 e Doel 3, soggetti dal 2012 a ripetuti e prolungati periodi di fermo per verifiche strutturali poi risultate non compromissive della sicura operatività degli stessi.

Ad oggi il Belgio ha 7 reattori operativi, che coprono circa metà della produzione elettrica. Il primo a spegnersi potrebbe essere Doel 3, nell’ottobre del 2022, seguito, salvo ripensamenti, da tutti gli altri entro il 2025.

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