Si è svolta il 16 ottobre scorso a Roma l’annuale Giornata di Studio AIN dal titolo: “Decarbonizzazione: il nucleare è un’opzione in Europa?”.
La risposta, che rappresenta l’idea di fondo del libro “A bright future: how some countries have solved climate change and the rest can follow” scritto da Joshua s. Goldstein e Staffan A. Qvist, quest’ultimo presente in sala, sembrerebbe essere sì.
La necessità di abbattere le emissioni climalteranti e quelle inquinanti associate alla produzione di energia, fino ad azzerarle in un futuro non troppo lontano, è un obiettivo ambizioso ma non impossibile. Tuttavia è necessario puntare con decisione alla riconversione dell’intero settore energetico ( e quello dei trasporti) verso l’utilizzo di tecnologie a basse emissioni. Ed è un dato di fatto che i Paesi che utilizzano il nucleare per la produzione elettrica hanno emissioni più basse, specie quando il potenziale nucleare va a discapito dell’utilizzo di fonti fossili come carbone, gas e olii combustibili.
La giornata, che si è aperta con la presentazione del libro da parte di uno degli autori, lo svedese Qvist, ha visto la partecipazione tra gli altri dell’europarlamentare Carlo Calenda, del presidente di Assoambiente Chicco Testa, di Carlo Stagnaro (direttore dell’Osservatorio economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni), di Luisa Ferroni (dovente di Impianti nucleari alla sapienza di Roma), di Roberto Adinolfi (ad di Ansaldo Energia) e di Pierluigi Totaro, presidente del Comitato Nucleare e Ragione.
Il libro presenta tra gli altri il caso della Svezia, che tra il 1970 e il 1990 ha dimezzato le sue emissioni totali di carbonio e ha ridotto di oltre il 60% le emissioni ad abitante grazie al nucleare, che oggi detiene una quota di circa il 30% della produzione elettrica del Paese scandinavo, cui si affiancano idroelettrico ed eolico, mentre sono virtualmente assenti i combustibili fossili. Al contrario la Germania ha impostato la propria politica energetica sul massiccio ricorso alle rinnovabili intermittenti e sul contestuale abbandono dell’energia nucleare, non riuscendo a scalfire di fatto le proprie emissioni e restando vincolata alla produzione elettrica da carbone e lignite. Quest’ultima scelta – si sostiene nel libro – non è una formula vincente per una rapida decarbonizzazione; mentre lo è l’approccio della Svezia (e di altri Paesi come Francia, Belgio, Stati Uniti) che riconosce la necessità di tutte le fonti a basse emissioni per contrastare i cambiamenti climatici.
Tesi questa condivisa dall’AIN. “L’Italia – ha ricordato il presidente Umberto Minopoli – anni fa ha fatto la sua scelta sul nucleare decidendo di chiudere gli impianti e questo ci pone in una situazione più critica rispetto ad altri Paesi che invece hanno mantenuto l’apporto del nucleare alla produzione di energia”. “Puntare tutto sulle rinnovabili non è possibile e non lo sarà ancora per molto tempo perché mancano ancora le tecnologie di accumulo necessarie. Serve quindi il contribuito di fonti come il nucleare, fonti che possano offrire stabilità dell’approvvigionamento. Senza l’apporto del nucleare al portafoglio energetico europeo – ha sottolineato Minopoli – non è possibile raggiungere gli stringenti obiettivi di decarbonizzazione. E noi italiani dobbiamo interessarcene, perché siamo parte dell’Europa e abbiamo capacità industriali e di ricerca che ci permettono di avere un ruolo importante. Oltre al fatto che abbiamo un lascito nucleare (il decommissioning delle centrali, il deposito dei rifiuti radioattivi) di cui occuparci”.
Per Carlo Calenda, già ministro dello Sviluppo economico, “la scelta dell’Italia sul nucleare è stata una scelta sciagurata”, dovuta al fatto che “il nostro Paese prende le decisioni sulla base dell’ideologia e non sulla base della concretezza dei fatti”. “No so se il nucleare può essere la soluzione – ha aggiunto –certamente parlare oggi di 100% rinnovabili è una cosa senza senso per problemi tecnologici”.
Secondo Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni, l’Europa dovrebbe preservare la quota di nucleare esistente e “non parlare più di nucleare francese (o di altri stati, ndr) ma di nucleare europeo in un contesto di reti integrate”. Il presidente di Assoambiente Chicco Testa, si è soffermato sulla difficoltà ancora presente in Italia a parlare di nucleare, per una diffusa cultura della diffidenza alimentata nell’opinione pubblica anche dalle posizioni di alcuni soggetti istituzionali “che dicono cose fasulle” e alimentano paure immotivate. Sulla necessità di una corretta informazione la docente di Impianti Nucleari della Sapienza Luisa Ferroni nota che “Viviamo in un mondo di radiazioni, ma anche studenti universitari al terzo anno del corso di Ingegneria energetica non lo sanno. Bisogna fare in modo che argomenti come la radioprotezione siano affrontati fin dalle scuole elementari. La paura si supera con la conoscenza”. Sulla stessa linea Pierluigi Totaro del Comitato Nucleare e Ragione che aggiunge: “Bisogna abbandonare l’idea che il nucleare in Italia sia un tabù e ripensare a scelte strategiche per il futuro”.
Ha concluso i lavori l’intervento di Roberto Adinolfi, AD di Ansaldo Nucleare, secondo il quale “è arrivato il momento di fare un bilancio di 30 anni di uscita dal nucleare” aggiungendo che “di nucleare bisogna continuare a parlare, perché si tratta di un tema attualissimo” e che “creare una cultura nucleare è ‘conditio sine qua non’ per aprire un dibattito fondato non su preconcetti ma su basi razionali”.