Ripubblichiamo integralmente l’intervista a cura di Simona Sirianni alla neo-Presidente della Italian Nuclear Young Generation su Il Bollettino, buona lettura!
Non ci sono dubbi. «Il nucleare è fondamentale sia per raggiungere una indipendenza energetica, sia per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 settati dall’Europa. Quindi serve all’Italia», dice Claudia Gasparrini, ingegnere e ricercatrice con svariati anni all’estero nel settore nucleare.
Quello sull’energia atomica è un tema che nel nostro Paese crea da tempo un gran dibattito. A spingere questa fonte energetica oggi più che mai è la congiuntura di 3 fattori: la guerra in Ucraina, in seguito all’invasione da parte della Russia, il fronte che si è aperto dell’indipendenza energetica e i timori conseguenti; per i cambiamenti climatici; per i prezzi in rialzo di gas e petrolio.
Far ripartire gli ex-impianti nucleari italiani: è possibile o ci sarebbe bisogno di costruirne altri?
«Non è possibile far ripartire le vecchie centrali, sarebbe necessario costruirne di nuove. Si potrebbe valutare di costruirle sugli stessi siti delle vecchie per poter riutilizzare alcune infrastrutture. Solitamente è questo il metodo più economico».
A quanto ammonterebbe l’investimento?
«L’investimento, il numero di centrali da costruire e l’ottenimento dell’indipendenza energetica dell’Italia sono da valutare con uno studio ad hoc, attraverso scenari che prevedano una quota di rinnovabili in sinergia con il nucleare. Vista la situazione attuale, dobbiamo ridurre l’importazione di gas russo, ma ricordiamoci che siamo dipendenti dal gas importato da molti altri Paesi “non stabili”. Ed essendo l’Italia sprovvista di un adeguato piano energetico a lungo termine, sarebbe improprio citare ora un numero che sia rappresentativo dell’investimento e il numero di centrali da installare, perché tutto dipende dalla tipologia di centrale e dal rapporto centrali nucleari-rinnovabili».
D’accordo, ma l’energia atomica costa meno di altre fonti e consentirebbe di abbassare le bollette?
«Per rispondere a questa domanda mi aiuto con il grafico qui sotto a destra pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) in cui si confronta il prezzo dell’elettricità prodotta con combustibili fossili (inquinanti) e con tecnologie a bassa emissione di CO2 (nucleare incluso), dati del 2020. Si può notare che il nucleare è economico e il prezzo per MWh dell’elettricità prodotta è comparabile con quella ottenuta da centrali a gas. Questo grafico, però, non tiene conto dell’aumento del prezzo del gas scattato nel 2022, fattore che rende ancora più conveniente il nucleare (oltretutto, l’elettricità da nucleare non è influenzata così tanto dalle fluttuazioni di prezzo del suo combustibile). È interessante osservare anche come, oggi, la fonte più economica di elettricità risulti essere quella dalle centrali nucleari costruite intorno agli anni ’70 e rinnovate in tecnologia e sicurezza per poter operare ai giorni nostri. Questo dovrebbe farci riflettere sulle scelte Italiane passate».
L’energia nucleare che percentuale rappresenta di tutta quella prodotta a livello mondiale?
«Nel mondo l’elettricità nucleare rappresenta il 10% della totale elettricità e rappresenta il 30% dell’elettricità pulita prodotta. Purtroppo il 70% di elettricità proviene ancora da combustibili fossili inquinanti. In Europa, l’elettricità da nucleare rappresenta il 25% della produzione totale ed è la prima fonte di elettricità fruibile se consideriamo separato l’apporto del gas e del carbone; questo grazie ai tanti Paesi europei che hanno sostenuto nel tempo l’energia dell’atomo».
La tassonomia europea considera il nucleare una tecnologia verde
«Sì, assolutamente. La tassonomia Europea include il nucleare da fissione come tecnologia verde perché è in grado di produrre elettricità a bassa emissione di CO2 in maniera efficiente, continuativa e sicura. Specificatamente alla sicurezza il report della Commissione Europea ha analizzato la tecnologia nucleare (considerandone tutto il ciclo di vita) e ne ha dimostrato la sicurezza poiché il suo impatto verso le persone e l’ambiente è comparabile alle altre fonti di elettricità già considerate “verdi” come idroelettrico e le rinnovabili».
E può essere davvero utile per una transizione energetica in Europa?
«Certo, vediamo le scelte strategiche di Francia, Belgio, Polonia, Romania, Slovenia (e Regno Unito, ex-UE), solo per citarne alcune, che rafforzeranno la loro flotta nucleare nei prossimi anni. Il caso della Germania è eclatante: anni di politiche cosiddette “verdi” incentivate a rafforzare solo le rinnovabili abbandonando l’energia nucleare ha spinto la Germania a riaccendere, quest’anno, le centrali a carbone (le più inquinanti). Le rinnovabili senza supporto di energia continuativa come quella nucleare non possono affrontare la sfida della transizione energetica».
Qual è il contributo del nucleare oggi e nei principali scenari di decarbonizzazione al 2050?
«Gli scenari di decarbonizzazione mondiale considerano il 10% di energia elettrica da nucleare e mantengono questa percentuale al 2050, ma considerando un raddoppio della potenza nucleare installata. Va ricordato che gli scenari riportati fino a ora erano fortemente influenzati dalle scelte politiche passate che davano per assodato una progressiva uscita dal nucleare del mondo occidentale (vedi il caso di Germania e Stati Uniti). Ora gli scenari energetici potranno tenere conto delle nuove scelte politiche volte a rafforzare la potenza nucleare installata anche in Occidente».
Quanto e quale contributo hanno dato le nuove tecnologie per rinnovare le centrali e a rendere il nucleare sicuro?
«Il nucleare oggi è una tecnologia altamente regolamentata, le misure di sicurezza sono uniformate da enti internazionali che ne verificano l’implementazione in tutti i Paesi che sfruttano l’energia nucleare. Per fare un esempio, tutte le centrali nucleari oggi operanti, che siano della generazione II (costruite decenni fa) o della generazione III (più recenti) sono equipaggiate dagli stessi sistemi di sicurezza considerati indispensabili. Questi sistemi impediscono incidenti al sistema di raffreddamento come quello avvenuto alla centrale di Fukushima. Va ricordato che un incidente grave come quello di Fukushima, classificato a livello 7 – il peggiore della scala INES (International Nuclear and Radiological Event Scale), non ha provocato alcuna vittima e la struttura della centrale, progettata negli anni ’60 e costruita negli anni ’70, era rimasta intatta all’impatto dello tsunami di 15 metri che ha spazzato via 20 mila vite e un’intera regione».
Entriamo più nello specifico. Cos’è il mini-nucleare di quarta generazione?
«In questa domanda vengono presentati due filoni tecnologici dell’industria nucleare: la taglia e il tipo di generazione del reattore. In sintesi e semplificando, la taglia dei reattori nucleari va dalla micro (<10 MW) usata come motore nelle navi o per produrre energia in zone isolate, alla macro (>700 MW) generalmente utilizzata per la produzione di energia elettrica. In mezzo esistono i reattori cosiddetti “piccoli e modulari” in via di licenziamento che possono essere utilizzati per la produzione di energia elettrica e termica per l’industria. Per quanto riguarda la generazione, a oggi esistono già reattori nucleari connessi alla rete elettrica che tecnicamente potrebbero essere considerati di quarta generazione. Altri reattori di quarta generazione invece sono ancora in via di ricerca e sviluppo. La quarta generazione indica un avanzamento tecnologico, ma non implica che un reattore di terza generazione non sia sicuro o innovativo».
Secondo lei perché se ne ha così timore?
«L’uscita del nucleare in Italia è venuta a seguito dell’incidente di Chernobyl (26 aprile 1986) che è stato accompagnato da una campagna di disinformazione che prosegue tutt’oggi e che ha lo scopo di influenzare negativamente la percezione dei cittadini verso questa fonte di energia pulita, affidabile e sicura. Tutt’ora la comunicazione attraverso programmi TV, giornali, dibattiti politici, campagne di associazioni “ambientaliste” è spesso scorretta e alimenta un sentimento di paura infondata. La nostra stessa politica non trasmette informazioni precise sulla tecnologia nucleare. Ne sono esempi eclatanti le affermazioni di politici non esperti in materia e che per argomentare dovrebbero essere affiancati da personale tecnico competente visto il loro ruolo istituzionale. La diffusione di informazioni scorrette sul nucleare implica che qualsiasi proposta pro o contro sia argomentata tramite informazioni inesatte e approssimative e spesso faziose che non danno la giusta credibilità a questa tecnologia più che mai necessaria. Opportunità come questa mi fanno credere che il vento stia cambiando e che ci sia voglia di un nuovo tipo di informazione, più scientifica. Del resto come disse Marie Curie, che dedicò la sua vita allo studio della radioattività e ne coniò il nome: «Nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire». ©