Concludiamo la serie di approfondimenti sugli usi della scienza e tecnologia nucleare. Dopo averne analizzato i molteplici impieghi nel campo dell’industria, dell’agricoltura, della protezione ambientale e della gestione delle risorse idriche, della tutela dei beni culturali e della salute, parliamo ora brevemente dell’uso del nucleare in campo energetico.
Tra gli usi più conosciuti della tecnologia nucleare vi è senza dubbio la produzione di energia, sia essa in forma di elettricità, calore o propulsione. La produzione di energia nucleare è un argomento molto dibattuto da parte della politica e dell’opinione pubblica, spesso sulla base di un’esagerata percezione del rischio, dovuta in gran parte a due gravi incidenti avvenuti nella storia del nucleare civile (Chernobyl e Fukushima). L’argomento sicurezza e percezione del rischio nucleare richiederebbe un articolo a sé dunque non lo approfondiremo qui, ma tanto per stimolare la curiosità del lettore diciamo che proprio questi gravissimi incidenti nella storia del nucleare dimostrano come il nucleare sia sicuro, una volta analizzate oggettivamente le loro conseguenze.
Ad oggi sono operativi nel mondo 441 reattori nucleari, per complessivi 390 mila MW di potenza elettrica erogata, pari circa al 10% del fabbisogno mondiale di energia. 54 nuovi reattori sono in costruzione, in particolare in Asia e Europa Orientale, mentre anche alcuni Paesi africani stanno considerando l’avvio di un programma nucleare. L’energia nucleare invece ha perso il suo appeal nel vecchio Occidente (Nord America e Europa), a favore di un crescente utilizzo di gas naturale e fonti rinnovabili.
Eppure il nucleare, al pari se non meglio delle fonti rinnovabili, produce energia a basse emissioni di carbonio (sul ciclo di vita, dato che una centrale nucleare in operazione non emette anidride carbonica né altri inquinanti), con il pregio di produrre energia con continuità, indipendentemente dalle condizioni meteo-climatiche, e con un ridotto uso del suolo.
Assenza di emissioni inquinanti a parte, una centrale nucleare non funziona in modo molto differente da una qualsiasi centrale termoelettrica: cui il calore prodotto dalla reazione nucleare genera vapore che a sua volta aziona le turbine per la generazione di energia elettrica. Questo processo ha un efficienza abbastanza limitata (tra il 30% e il 40%), per cui non tutto il calore generato viene convertito in energia elettrica.
Di conseguenza, al fine di ottimizzare l’uso del calore prodotto, esso può trovare (anche se non sempre purtroppo accade) immediate applicazioni, quali ad esempio il teleriscaldamento o l’utilizzo in impianti industriali, tramite un processo noto come cogenerazione.
Dati gli elevati costi capitali di costruzione di una centrale nucleare inoltre l’operatore ha tutto l’interesse a farla funzionare con continuità. Dunque, pur essendo tecnicamente possibile modulare la potenza elettrica erogata in rete (ad esempio quando sole e vento favorevole creano abbondanza di elettricità da fonti rinnovabili), ciò spesso comporta un danno economico all’operatore della centrale.
Per questo motivo riscuote crescente interesse la possibilità di utilizzare l’energia prodotta dalle centrali nucleari per desalinizzare l’acqua e per produrre idrogeno.
La desalinizzazione dell’acqua potrebbe rispondere alle necessità di acqua potabile e irrigua in zone particolarmente aride del pianeta, nonché al fabbisogno d’acqua interno alla centrale, al contempo utilizzando una quota di energia che per motivi di efficienza intrinseca o a causa delle condizioni del mercato non sarebbe possibile o remunerativo immettere nella rete elettrica. Similmente, la produzione di idrogeno tramite elettrolisi andrebbe a costituire una fonte di introiti parallela per l’operatore della centrale, che potrebbe rendere disponibile sul mercato idrogeno per la propulsione di veicoli elettrici o per sistemi di accumulo, valorizzando attraverso tale trasformazione l’energia elettrica che altrimenti non avrebbe potuto immettere in rete, o avrebbe immesso in rete ad un prezzo troppo basso per essere remunerativo.
Nel mondo ci sono inoltre 220 reattori di ricerca operativi (di cui 4 in Italia): si tratta di veri e propri reattori nucleari, in genere di piccola taglia, che non producono energia elettrica bensì sono utilizzati per scopi di istruzione, addestramento, ricerca e produzione di neutroni impiegati nell’industria, nella medicina e nell’agricoltura.
Infine l’energia nucleare trova applicazione diretta nei trasporti, fornendo propulsione a vascelli militari, alcune tipologie di vascelli civili (come i rompighiaccio) e persino navi mercantili. Il vantaggio tattico e logistico consiste nel poter coprire lunghissime distanze senza necessità di rifornimento. A questo si aggiungerebbe che il trasporto merci via mare con vascelli nucleari sarebbe molto meno inquinante di quello basato su combustibili fossili.
Sebbene l’idea sia stata esplorata in passato, è improbabile che la propulsione nucleare venga mai impiegata nella navigazione aerea. Tuttavia, essa potrebbe trovare un più ampio impiego indiretto nel settore dei trasporti qualora si diffondesse l’uso di mezzi di trasporto ad idrogeno.
Per ulteriore approfondimento:
https://www.iaea.org/topics/energy