Uno degli aspetti dell’energia nucleare che ha sempre preoccupato l’opinione pubblica è la sua possibile commisione con gli usi bellici, in gergo meglio nota come proliferazione nucleare. Un aspetto meno noto al pubblico è che l’uso dell’energia nucleare per scopi civili può contribuire a ridurre la minaccia costituita dalle armi nucleari esistenti negli arsenali delle potenze nucleari mondiali, in particolare Stati Uniti e Russia.
Ciò è già avvenuto con successo nel ventennio 1993-2013, nel contesto del programma noto come Megatons to Megawatts (nome ufficiale Agreement between the Government of the Russian Federation and the Government of the United States of America Concerning the Disposition of Highly-Enriched Uranium Extracted from Nuclear Weapons). Il programma consentì la distruzione di 500 tonnellate di uranio altamente arricchito proveniente dagli arsenali nucleari russi, al fine di ricavarne per diluizione combustibile nucleare (uranio a basso grado di arricchimento, LEU) pari a 14000 tonellate da impiegare nelle centrali nucleari americane. La distruzione di materiale nucleare equivalente a circa 20000 testate atomiche ha consentito di produrre tanta energia da coprire per 20 anni il 10% del fabbisogno elettrico degli Stati Uniti.
La tesi di laurea in Ingegneria Energetica di Tommaso Maria Di Mattia, neo dottore presso l’Università di Roma La Sapienza, affronta proprio questo tema, stimando i benefici in termini energetici, economici e ambientali di una replica del programma Megatons to Megawatts.
Oggi al mondo esistono 15000 ordigni nucleari, ma se si tiene conto delle riserve di materiale fissile già esistenti si possono stimare le testate “virtuali” nell’ordine delle 100000.
La riduzione di questo arsenale avrebbe molteplici benefici in termini di resa energetica, di risparmio economico e di conseguenti ricadute sociali e ambientali, in aggiunta alla riduzione della minaccia che queste armi di distruzione di massa rappresentano.
La tesi esamina lo scenario in cui 4000 testate vengano dstrutte e convertite in 2400 tonnellate di combustibile nucleare. Tale quantità di combustibile, se utilizzata in centrali esistenti, sarebbe sufficiente a coprire il 10% del fabbisogo elettrico attuale dell’Italia per circa 40 anni.
Dal punto di vista economico, il riciclo del materiale bellico consentrebbe un risparmio pari a circa 1 miliardo di euro sulle attività estrattive dell’uranio, che potrebbe essere destinato a progetti di valore sociale.
Le ricadute ambientali e sociali sarebbero anch’esse positive, qualora l’energia nucleare prodotta andasse a sostituire quella proveniente da fonti fossili, con conseguente riduzione delle emissioni climalteranti, dell’inquinamento atmosferico e delle acque, e delle rispettive conseguenze sanitarie.
Insomma, in definitiva si tratterebbe di un programma dai molteplici aspetti positivi, tra i quali il miglioramento della percezione pubblica dell’energia nucleare.