NUCLEARE/ Monti, Presidente AIN: cosa resta da fare (bene) per passare alla scelta operativa (intervista a ilsussidiario.net)

Stefano Monti AIN

Il presidente dell’Associazione italiana nucleare (AIN) fa il punto su ciò che serve per tornare all’atomo in Italia. Senza sbagliare mosse

La mozione parlamentare unitaria sul nucleare del maggio 2023 ha dato il via in Italia a dibattiti e discussioni che, dopo due anni e mezzo, ci dicono che è arrivato il tempo di agire. Non è uno slogan, ma una constatazione tecnica: un sistema energetico che deve decarbonizzare rapidamente, garantire sicurezza di approvvigionamento in un contesto geopolitico di enorme complessità e allo stesso tempo contenere i costi per i cittadini e la grande industria energivora, che ancora rappresenta buona parte della struttura industriale portante italiana, non può restare sospeso in una disputa permanente.

L’evoluzione del dibattito

Dal 2023, vari ambiti di ricerca e analisi hanno approfondito la questione nucleare in Italia. Tra le iniziative più significative ricordiamo: la Piattaforma Nazionale per il Nucleare Sostenibile (PNNS) istituita dal MASE nel settembre 2023; il nuovo Piano Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC 2024) sottoposto alla Commissione europea nel 2024; il rapporto “Il nuovo nucleare in Italia per i cittadini e le imprese” di settembre 2024 sviluppato da The European House Ambrosetti (TEHA) e commissionato da Edison ed Ansaldo Nucleare; il rapporto di Confindustria “Lo sviluppo dell’energia nucleare nel mix energetico nazionale”, presentato nel luglio scorso alle istituzioni e agli stakeholder nazionali. Tutti questi studi e approfondimenti – che sono stati condotti con l’ausilio dei maggiori esperti e organizzazioni nazionali, incluso L’Associazione Italiana Nucleare (AIN) – hanno confermato che una transizione energetica realistica deve comprendere rinnovabili e nucleare.

Gli stessi studi hanno valutato complessivamente un ritorno, diretto e indotto, dal nuovo nucleare per il sistema Paese e per la collettività dell’ordine del 2,5% del Pil nazionale. Per il solo programma nazionale, si stima un volume occupazionale (comprensivo di diretti e indiretti) di circa 117mila nuovi posti di lavoro. A questo si aggiungono le commesse che potranno derivare dalla partecipazione di aziende italiane ai progetti nucleari internazionali e, in particolare, europei. Molto rilevanti al fine di raccogliere informazioni, opinioni anche critiche e valutazioni da parte di tutti i possibili stakeholder sono anche state le “indagini conoscitive sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica e nel processo di decarbonizzazione” portate avanti nel 2024 e 2025 dall’VIII Commissione parlamentare.

La legislazione e la strategia nazionale

L’insieme di queste iniziative nazionali – che peraltro hanno costantemente fatto riferimento a quanto sta avvenendo a livello internazionale ed europeo – ha ispirato e dato fondamento tecnico e giuridico al disegno di legge recante “Delega al Governo in materia di Energia Nucleare sostenibile” approvato dal Governo e che ha ricevuto a fine luglio il parere favorevole da parte della Conferenza unificataA questo punto la scelta non è se “credere” o meno nell’atomo, ma se e come integrarlo in un portafoglio che includa rinnovabili, reti, accumuli, capacità di back-up, efficienza e, dove necessario, gas con CCS (cattura e stoccaggio del carbonio). Un approccio corretto impone di distinguere fra tre livelli: valore di sistema, fattibilità industriale e governance del rischio.

Valore di sistema

Le rinnovabili variabili (eolico e fotovoltaico) hanno ridotto i costi di generazione, ma aumentano la complessità di rete e di bilanciamento. In situazioni climatiche e di mix energetico come quelle italiane, la disponibilità di capacità base load a basse emissioni — nucleare, idroelettrico a bacino, geotermia profonda, eventualmente CCS su impianti a gas — riduce i costi marginali del sistema nei periodi di scarsa produzione rinnovabile.

Qui la metrica importante non è solo la LCOE (costo livellato dell’energia), ma il “system value”: quanto un MW affidabile riduce la necessità di overbuilding rinnovabile e di accumuli di lunga durata, fra l’altro ad oggi non disponibili. Con fattori di carico storicamente superiori all’80-90%, gli impianti nucleari offrono potenza programmabile e supportano l’inerzia di rete. Il controcanto riguarda costi e tempi reali. I grandi reattori avanzati di terza generazione – costruiti on budget and on time in Asia, Russia e Emirati Arabi – hanno sofferto extracosti e ritardi in Europa e Nordamerica: alcuni progetti in Europa e negli Stati Uniti sono stati completati con anni di slittamento e miliardi di extra-budget.

Le cause sono note: catene di fornitura erose, perdita di competenze, progetti “first-of-a-kind” con curve di apprendimento incompiute, governance e management non adeguati delle megacostruzioni. Il risultato è che il differenziale tra valore di sistema e costo finanziario spesso resta negativo finché non si ricostruisce una capacità industriale solida come negli anni 70 e 80 e serializzabile.

Fattibilità industriale

Specificamente per il nostro Paese, la fattibilità industriale dei reattori avanzati e in particolare degli Small Modular Reactors (SMR). Questi sistemi nucleari promettono standardizzazione, cantierizzazione più rapida, capex distribuito e migliore integrazione con reti non molto sviluppate o calore di processo.

Ma, dietro la retorica, la prova decisiva è la produzione in serie. Finché i primi esemplari non entreranno in esercizio con costi certificati, il rischio di spostare semplicemente in scala ridotta gli stessi problemi dei grandi reattori resta elevato. I segnali misti degli ultimi anni — annullamenti di progetti per escalation dei costi peraltro accanto ad avvii concreti in Canada e pianificazioni in Europa centrale — suggeriscono prudenza attiva: accelerare i progetti più maturi, ma con milestones stringenti e opzioni di uscita.

Non è un “no”, è un “sì, se”: se vi sono procedimenti di certificazione e licensing snelli, un disegno industriale realistico, un committente solido e con la necessaria esperienza operativa, un partenariato internazionale che valorizzi gli asset italiani e un quadro finanziario adeguato.Governance del rischio

Il nucleare concentra rischi multipli – di costruzione, regolatori, di mercato, di accettabilità pubblica – che non sono ben prezzati nei mercati all’ingrosso. Una volta che si decide di includerlo nel mix, servono strumenti coerenti:

– Schemi di finanziamento che riducano il costo del capitale (Contract for Difference, Regulated Asset Base), perché l’OPEX nucleare è relativamente basso e il CAPEX domina l’LCOE.

– Regolazione certa, ben definita e risk-based, che mantenga la sicurezza senza inutili e costose lungaggini procedurali.

– Gestione del combustibile e del ciclo del combustibile di riferimento ben definiti fin dall’inizio con accordi strategici con partner e fornitori geopoliticamente affidabili.

– Strategie per i rifiuti ad alta attività e lunga vita: la soluzione di riferimento resta il deposito geologico profondo. Paesi come la Finlandia e la Svezia che hanno scelto la strada del ciclo aperto sono i più avanzati. Se il riferimento nazionale almeno nel lungo periodo è quello del ciclo chiuso, occorre fin da subito iniziare a cooperare coi pochi Paesi che lo perseguono da tempo e che hanno elevate capacità tecnologiche ed esperienza operativa su tutte le parti del ciclo.

Verso un’azione concreta

Agire concretamente significa prendere decisioni misurabili e sequenziali, piuttosto che avviare immediatamente cantieri di grande portata. Nel breve termine, le azioni fondamentali comprendono:

– Approvazione del sopracitato ddl da parte del Parlamento e inizio della sua implementazione, ovvero elaborazione dei decreti applicativi previsti nel ddl. Questo è il compito prioritario che si chiede a Governo e Parlamento. Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità nella coscienza che dall’approvazione o meno di tale ddl dipende il futuro energetico del Paese e il futuro delle nuove generazioni;

– Costituzione di una nuova autorità di sicurezza con funzioni e competenze in linea con gli standard e migliori pratiche internazionali. L’AIN si è espressa in maniera molto chiara al riguardo con un position paper inviato alle autorità competenti lo scorso luglio e disponibile pubblicamente. Non c’è da reinventare la ruota, ma occorre ristrutturare e potenziare l’ISIN con azioni coerenti col programma nazionale, tempestive e concrete;

– Campagna capillare di informazione al pubblico. Non è più sufficiente organizzare dibattiti a livello nazionale che ormai si susseguono indefinitamente con cadenza settimanale. I progetti nucleari devono sì avere un respiro internazionale ma, come ci ricorda il direttore generale della IAEA, sono progetti localizzati in un determinato territorio.

Ecco dunque che la comunicazione ed il coinvolgimento delle popolazioni interessate deve avvenire a livello territoriale. Il tutto con un approccio trasparente e che miri ad un vero coinvolgimento: l’opacità è un moltiplicatore di rischio, non una protezione. A questo proposito la Joint Research Partnership fra Fondazione Politecnico di Milano, Politecnico di Milano e AIN ha formulato una proposta operativa che è ora al vaglio del MASE per la successiva implementazione in tempi rapidi;

– Scelta della tecnologia di riferimento. Questa è diventata essenziale per orientare l’industria sistemistica e manifatturiera che ha bisogno di qualificarsi ed organizzarsi su una specifica tecnologia; la scelta di riferimento è altrettanto importante per la costituenda autorità di sicurezza nucleare, che necessita di formare rapidamente nuove risorse su un determinato sistema. Per un Paese come l’Italia che viene da 40 anni di assenza di produzione nucleare, e quindi di processi di certificazione e di licensing, pensare di sviluppare catene di fornitura e competenze su diverse filiere è pura fantasia e rischierebbe di disperdere le capacità e competenze in mille rivoli tutti sottocritici. Dunque, occorre concentrarsi su un paio di design avanzati ma anche sufficientemente maturi.

– Una volta identificata l’opzione tecnologica più conveniente per l’Italia, occorre definire un primo sito “di riferimento” con tempi di autorizzazione compressi ma rigorosi, organizzare una pipeline di fornitori qualificati e un piano di workforce di medio-lungo termine. Da questo punto di vista, il lavoro della newco Nuclitalia risulta determinante, ma deve potersi integrare in maniera sinergica con il coordinamento a livello istituzionale per il quale l’AIN auspica da tempo la costituzione di una cosiddetta NEPIO: Nuclear Energy Programme Implementing Organization che risponda in maniera integrata al Governo;

– Approccio di sistema con il coinvolgimento tutte le parti interessate (utility, industria sistemistica e manifatturiera, utilizzatori finali, istituzioni di ricerca e sperimentazione, accademia, ecc.) e pianificazione del ruolo del nucleare nel mix 2035-2050 insieme a rinnovabili, accumuli, demand response e reti;

– Schemi di finanziamento: senza abbattere il WACC (weighted average cost of capital) il nucleare non è sostenibile. Strumenti come CfD a lungo termine indicizzati all’inflazione o modelli RAB possono ridurre il costo del capitale, in cambio di trasparenza totale su costi e performance. Il carbon pricing da solo non basta se il rischio di costruzione resta totalmente privato.

Conclusione

Un approccio critico deve respingere sia l’entusiasmo irrealistico del tipo “la fusione nucleare a portata di mano”, sia il rifiuto pregiudiziale verso il nucleare. L’energia nucleare può essere un tassello fondamentale della transizione energetica, ma richiede una gestione competente e organizzativa ai massimi livelli. Agire oggi significa stabilire criteri chiari e impegni misurabili, assumersi responsabilità e concentrarsi su progetti che possano garantire un futuro energetico sostenibile per l’Italia.

Il tempo per il dibattito è scaduto; è giunto il momento di compiere scelte verificabili e concrete. In linea con questo approccio, l’AIN dedicherà l’usuale evento annuale al tema “Nucleare in Italia: dal dire al fare”, con un focus particolare su uno degli aspetti più urgenti sopra evidenziati ovvero la comunicazione e lo stakholder engagement.

Stefano Monti – Presidente AIN

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